§ 1. Red Sun Through Smoke.

 

Un sole rosso s’intravede al di là del fumo.

In trasparenza.

 

Un fare poco.

Anzi, un non fare niente.

 

Un abbandonare il tragitto delle voci al loro sonnambulo incedere: questo, l’incipit dell’ultimo lavoro di Ian William Craig.

 

Toccare, soavemente (senza indecisione) i tasti giusti, per quel poco che basta —né più, né meno— ed aspettare che, svanito l’iniziale straniamento, il tutto raggiunga una propria quiete.

 

 

 

 

§ 2. Un variopinto affastellarsi.

 

Non ero preparato. Semplicemente non me l’aspettavo.

 

Non è, ve lo dico subito, uno di quei casi in cui sai già cosa troverai una volta sondato un poco il terreno.

 

Difatti, a questa ascesa vertiginosa segue un intermezzo, poi un’immersione, infine un riaffiorare.

 

Un ritrovarsi altrove, anche se in un altrove familiare.

 

Familiare perché già lì fin dall’inizio, anche se nascosto.

 

E di nuovo, un lieve —impercettibile— mutar di forme.

 

 

 

§ 3. Non-classificabile.

 

I generi.

 

Cosa sono i generi se non gabbie?

 

Tassonomie.

 

Definizioni in un mondo proteiforme.

 

Maledetti accalappiasuoni che non sono altro!

 

Il fatto è che, tra le maglie delle loro reti, sfugge ciò che è troppo sottile.

 

Passa loro attraverso, andandosi a depositare in quella zona grigia in cui trova dimora l’attonito.

 

 

 

§ 4. Una scatola di pastelli.

 

Capita, fortuitamente, d’avere tra le mani:

 

- apnee in fondali di rumore

- pezzi da far mangiare le mani a Thom Yorke

- canti a cappella

- sovraincisioni

- disagi cosmici

- motivetti per solo pianoforte

- silenzi

 

Cosa farne?

Dodici tracce.

 

Come ricomporre questi frammenti?

In forma di caleidoscopio.

 

Per farci cosa?

Una mappa di quegli stessi fondali.

 

 

 

 

 

§ 5 Ovattato e tagliente.

 

Queste dodici tracce hanno, in loro variamente intersecati, questi elementi.

 

La loro composizione — la loro impalpabile giustapposizione— è ciò che rende il tutto ovattato e tagliente: l’uno subentra all’altro come in trasparenza, senza tagli netti, senza accorgersene.

 

Come se fossero fatti d’una medesima pasta, come se fossero l’uno l’ombra dell’altro.

 

Questa polifonia non porta però a confusione chi se la vede scorrere di fronte: il tutto suona, strano a dirlo, unitario.

 

Secondo una recondita armonia, che fa di questi cocci vitrei un indecifrato mosaico, che acquisisce la propria fisionomia soltanto gradualmente, soltanto visto da una certa distanza.

 

 

 

§ 6 Tra la veglia e il sonno.

 

Questa fisionomia (una macchia, un fuoco fatuo, una rossa medusa?) ha il retrogusto d’un assopirsi, il tepore d’un sogno.

 

Di un luogo entro cui, stanco e abbacinante, coricarsi.

 

 

§ 7 Appendice: con le parole di Cattafi

 

Ci si siede

ci si sdraia

ci si corica

e un discorso s’avvia

tra me supino

e voi a sviluppo verticale

finché la pelle pesante delle palpebre

con un solo gesto

non vi dice addio

alte creature

pertiche di luce

non più vi vede chi sente la dolcezza

dei cento

dei millepiedi.

(Bartolo Cattafi, Con un solo gesto, in Marzo e le sue idi, A. Mondadori, Milano, 1977, pag. 37).

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