Dopo il successo ottenuto lontano dalle coste italiane con "Morpho Nestira", gli If cambiano pelle e qualche mattone della loro ben consolidata struttura. Gocce di metallo gli permettono di assumere un "battesimo prog" modificando il nome in Ifsounds, anche per discostarsi dal latente apparire dell'ombra di quella omonimia con un gruppo inglese che navigò le stesse acque nella prima metà degli anni '70.
I componenti rimangono gli stessi tranne due importanti avvicendamenti: quello di Enzo Bellocchio alla batteria al posto di Luca Di Pardo mentre una nuova voce solista, Elena Ricci, rimpiazza Paolo De Santis.
La metamorfosi si sta compiendo anche nell'identità musicale, nello stile e con la dovuta perizia in quest'album gli Ifsounds si staccano da quello status che li vuole "troppo somiglianti a..." E' indubbio che ognuno, nella sconfinata fonte del rock-progressive, unisca le mani a coppa per raccogliere più sostanza possibile per poi plasmarla a propria immagine. Lo hanno fatto tutti in passato e lo si fa tuttora. Stavolta però, a mio avviso, Peter Pan è stato più scaltro della sua ombra fuggente e gli Ifsounds, confezionando Apeirophobia, cucendosela indosso possono, con tutto il diritto, imporre il proprio stile.
Apeirophobia è un cammino, un difficoltoso tentativo di sfuggire al terrore di ritrovarsi soli e di essere fissati da tanti occhi. Può anche essere un'apnea, una voglia di esplodere che sembra non arrivi mai. I testi, profondi, cerebrali, dove talvolta trapela qualche punta di natura necessariamente apoplettica, si amalgamano con una certa sapienza e una straordinaria intensità alle orchestrazioni che nonostante tutto, non appaiono mai rumorose, ma scevre di riffs sporchi et aut sonorità pesanti. Il masterpiece è indubbiamente "Summer Breeze", oltre alla composizione di chiusura che raccoglie il nome dell'album, sviscerandosi in una di quelle sinfonie rock che non si ascoltavano da un bel po'.
Interessanti sono le incursioni a corrente alternata, dall'acustico all'elettrico, delle chitarre di Dario Lastella, che si sposano con una azzeccata alchimia alla voce penetrante, graffiante, con necessari ammiccamenti al contralto dell'ultimo acquisto (e che acquisto) Elena Ricci. Le vellutate tastiere del già blasonato Claudio Lapenna, così come il basso a volte "protettivo" a volte incalzante di Francesco Bussoli, spezzano gli schemi sterili del normale accompagnamento o delle limitate funzioni da metronomo, offrendo all'ascoltatore una dimensione sonora assolutamente da scoprire, che ha tutta la voglia e le possibilità di evadere dai canoni imposti dai pionieri. Il nuovo batterista, Enzo Bellocchio non fa rimpiangere il buon Luca Di Pardo (nulla a togliere) e i commenti percussionistici, privi di strutture prevedibili o ridondanze, riescono a seguire, evidenziandone la bravura, la difficile linea definita dalle metriche delle canzoni.
Globalmente gli Ifsounds producono un disco da Ifsounds, presentano il loro stile nella speranza che qualche orecchio più autorevole li spinga verso un successo intercontinentale.
Io glielo auguro e permettetemi un consiglio: fatelo anche voi.
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