Ogni volta che leggo Silone, mi rassereno, perchè mi trasmette la pace di quelle domeniche in campagna, in settembre o nei primi giorni d'ottobre, quando dovrebbe incominciare a far freddo e non lo fa, e sono tutti fuori a godersi il sole e le ultime illusioni estive.
Silone tramanda una vita decaduta, scomparsa, nei luoghi dove ancora ne resiste una parvenza essa è appunto parvenza, perchè non si tratta che di un enclave, di una bolla di sapone, chissà come intatta, nella fiumana del progresso. A dir il vero, già Fontamara è una reliquia in un mondo che la rifiuta, o meglio la sfrutta finchè può senza che gliene importi davvero qualcosa. Fontamara è una reliquia e un simbolo: è in Abruzzo ma potrebbe essere ovunque perchè, dice lo stesso autore, tutti i contadini poveri sono in fondo simili, siano essi europei, arabi, americani, cinesi, e si capiscono fra loro a qualsiasi latitudine "devo dirlo, ma a chi? Se mai qualcuno capirà sarà senz'altro un altro come me".
E si può anche reagire al mille-novecento, essere Bernardo Viola, un gigante cuor di leone che non ragiona male, il protagonista della storia, se c'è proprio bisogno di trovarne uno. Per quanto mi riguarda, Fontamara è innanzitutto un romanzo corale, pur spiccando sugli altri personaggi, Bernardo è solo una parte del tutto, che non esisterebbe senza gli altri fontamaresi, le loro storie e il loro modo di vedere la vita.
Vi starete chiedendo di che cosa parla, in soldoni, il romanzo: degli abitanti di un paesino cui un giorno tolgono l'elettricità, di un effetto domino che travolge un piccolo popolo deriso sfruttato calpestato, della loro presa di coscienza ("Che fare?") che la modernità non coincide con progresso. La vita ancestrale spazzata via dal nuovo che travolge: Fontamara è un romanzo epico sulla fine misera di una concezione del mondo, è uno sguardo disorientato, un urlo nero, e muto: una pietra tombale su una parte di noi.
Carico i commenti... con calma