Ora, io capisco che leggere trattati di politica non sia rilassante né leggero e, anche se sono fondamentali per la crescita personale di ognuno di noi, posso capire che non siamo gettonati, ammetto anzi di non esserne neanch'io un grande fruitore. Ma "La Scuola Dei Dittatori" (1938) va letto. Non è un trattato di politica a tutti gli effetti, ma è un dialogo concernente la politica (e, più in particolare, lo stato totalitario) fra tre personaggi: Mr Doppio Vu, "aspirante dittatore" statunitense, il Professor Pickup, suo consigliere ideologico, e Tommaso detto "il Cinico", esule italiano in Svizzera perchè contrario al regime fascista (un ovvio alter ego dello stesso Silone).  La storia di cornice è presto detta: non avendo gli americani un'esperienza di dittature tanto vasta quanto gli europei, Mr. Doppio Vu si reca in Europa insieme al suo consigliere per apprendere la difficile arte del governo totalitario. Incontrano l'autore, che li indirizza verso Tommaso il Cinico, secondo il principio che "la verità nascosta in ogni sistema politico è di preferenza reperibile presso gli oppositori".

Il dialogo, che strutturalmente ricorda quelli platonici per la predominanza di un personaggio (Tommaso) sugli altri con tratti che sembrano più dei monologhi o riflessioni personali, è diviso per temi, per aspetti particolari presi di volta in volta in considerazione. L'argomento del totalitarismo viene analizzato in ogni sua componente, dalla politica alla sociale passando ovviamente per l'economica; per avere un'idea più chiara, ecco alcuni dei titoli dei capitoli del libro: "Sulla tradizionale arte politica e le sue deficienze nell'epoca della civiltà di massa" (cap. II), "Sull'inutilità dei programmi e la pericolosità delle discussioni e sulla tecnica moderna per suggestionare le masse" (cap. VIII), "Sul consenso plebiscitario, la compenetrazione stato-partito e l'allevamento intensivo di capri espiatori" (cap. XIV). Come avrete notato già dai titoli, c'è molto di Machiavelli in questo libro. Lo scopo è apparentemente lo stesso de "Il Principe", ovvero dare consigli per un buon capo di stato, ma è ovvio che il fine reale di Ignazio Silone è quello di analizzare, per criticare e colpire, la dittatura fascista in primis, anche se nell'opera sono costanti i riferimenti anche a Hitler, Lenin e Stalin. Anche se la critica al fascismo è inevitabile, Silone critica più che altro la dittatura in sé, di qualsiasi colore politico essa sia. E la critica con classe, in maniera indiretta, elargendo consigli su come attuarla.

Ma avete visto in che anno fu scritto il libro? Nel millenovecentotrentotto, prima della disfatta italiana della seconda guerra mondiale, prima del fallimento palese del fascismo. Eppure il testo è di una lucidità disarmante, possibile solo per un conoscitore profondo dei sistemi della politica. Giusto per dirne una, Silone nell'ultimo capitolo arriva a predire la causa della caduta del fascismo: se non è obiettività e lucidità questa!  C'è solo da rimanere sbalorditivi per la chiarezza con cui questa opera è scritta, per la facilità e la logica con le quali l'autore spiega argomenti a volte estremamente complessi. Libri del genere sono molto più attuali di quanto gli esempi che essi stessi portano possano far pensare. E no, non c'è nessun malizioso riferimento non esplicito in questa frase, sto solo dicendo che il fatto che nazifascismo e comunismo non hanno più potere dittatoriale in Europa non implica che le riflessioni presentate ne "La Scuola Dei Dittatori" non possano essere riadattate in diverse situazioni, presenti o future. E' un libro per crescere, soprattutto per comprendere.

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