Così declama Joey, attaccando «Pinhead»: «I don't wanna be a pinhead no more ...».

Da qui traggo ispirazione per crearmi un alias e scrivere di tutto ciò che non è punk, né garage, né ruvido rock'n'roll.

Che volete, sarà che ormai fatico a formare i barrè per tenere il ritmo di Johnny in «Blitzkrieg Bop»; sarà che da qualche tempo a questa parte ascolto musica al calar delle tenebre e non è il momento ideale per dare ascolto ad invasati che mandano affanculo mezzo mondo e a puttane l'altra metà, ne converrete; sarà semplicemente che sono invecchiato; ma il fatto è che sono andato in fissa per il jazz. Aaaaarghhhhh, l'ho detto!

Ora, voi mi ci vedete nelle vesti di Pinhead a discettare di «Time Out» o «Mingus Ah Um»? Dunque, ecco Pinhead No More, a fungere da proverbiale cacio sui maccheroni.

Solo che anche P.N.M. alla pari di Pinhead soffre di una qualche misconosciuta disfunzione, nel senso che la neonata passione per il jazz non è scaturita da «Kind Of Blue» e tanto meno da «A Love Supreme»; piuttosto da un disco che, più che minore, oserei definire minimo, «Blue & Sentimental» di Ike Quebec.

Oh, naturalmente non vi aspettate badilate di cultura musicale alta - non è roba per me - e l'unica cosa che ho imparato finora è che il menzionato «Kind Of Blue» è il non plus ultra del jazz modale; e però, in cosa questo si distingua dal cool, dal be-bop o dall'hard-bop o dal delirio free, ripeto che non è cosa per me, e di questi tempi nemmeno ho voglia di impegnarmi per impararlo.

L'essenziale è che questa musica mi fa battere il piede e ciondolare la testa e, come disse Count Basie, merita di essere ascoltata, fosse solo per questo; come pogare al ritmo grezzamente ipercinetico dei Ramones, stessa identica cosa.

Solo questo vi potete attendere da Pinhead No More: che tratti Davis e Coltrane con la leggerezza cialtrona di un Pinhead alle prese con Clash e Stiff Little Fingers.

Chiarita l'antifona, procedo innanzi.

Quindi, «Blue & Sentimental» di Ike Quebec ... Parto da quest'ultimo.

Ike inzia suonando il pianoforte per poi passare al sax tenore, militando negli anni '40 in diverse formazioni, tra cui quelle capitanate da Benny Carter, Coleman Hawkins, Roy Eldridge e Cab Calloway; sparisce dalla scena nel decennio successivo, eclissato dalla nuova sensazione bop, ma anche per problemi legati alla tossicodipendenza, sforzandosi unicamente di sopravvivere sbarcando il lunario - «from Cab jiver to cab driver» lo etichettò chi ebbe la ventura di incrociarlo alla guida di un taxi (non vi ricorda maledettamente la buonanima di Alex Chilton?); salvo poi ricostruirsi una carriera, accasandosi alla Blue Note, dove ricopre altresì il ruolo di direttore musicale (a lui si deve, in parte, il lancio di Dexter Gordon). Dura poco, per il solito, stramaledetto tumore che se lo porta via nel 1963, all'età di 44 anni.

Della "sua" musica, si conosce poco, anche per la difficoltosa reperibilità, principalmente il quasi-hit «Blue Harlem» ed appunto l'album «Blue & Sentimental» del 1961, oltre ad una serie di collaborazioni con il chitarrista Grant Green e l'organista Jimmy Smith.

Dicevo, di «Blue & Sentimental», disco minore; ma bello, bello, bello. Soprattutto, ideale per approcciare senza traumi la musica jazz da parte di noi zozzi rockers, pervaso com'è da umori blues e soul; e se avete avuto modo di apprezzare il Big Three di Willie Dixon ma anche certe atmosfere rilassate à la B.B. King, partite da «Minor Impulse» o la programmatica «Blues For Charlie» alla contagiosa scoperta del jazz, accompagnati per mano dal chitarrista Grant Green, altro talentuoso artista di casa alla Blue Note.

Qui, per davvero, siamo agli albori di un suono che sarà baciato, da lì a breve, dal clamoroso successo commerciale di «The Sidewinder» di Lee Morgan e «Cantaloupe Island» di Herbie Hancock.

Da segnalare assolutamente anche le ballate notturne, intrise di swing, della title track, «Don't Take Your Love From Me» e «Count Every Star», laddove Quebec paga tutti i suoi debiti nei confronti degli eroici, seminali Hawkins, Webster e Basie (quest'ultimo, peraltro, autore proprio di «Blue & Sentimental»); allo stesso modo di quella «Like», che omaggia il modernismo be-bop, e nella quale Quebec si appropria di un linguaggio a lui poco consono, con risultati di tutto rilievo.

E per dare a Cesare quel che è di Cesare, non è possibile sottacere del contributo alla riuscita del disco della ritmica di Paul Chambers e Joe Jones, semplicemente il miglior basso e batteria della storia del jazz, per mille diversi motivi o forse per il solo, semplice fatto di aver a lungo collaborato con Miles Davis (anche se quello sfigato di Jones se ne separò l'anno precedente la pubblicazione di «Kind Of Blue»).

La stessa cosa che si potrebbe dire di Dee Dee e Tommy per aver fatto parte dei Ramones o Paul Simonon e Topper Headon per la presenza in «London Calling»; stessa, identica cosa.

Chiaro?

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