È l'equivoco di identificare l'illusionista con l'esoterista, dove una concreta sparizione alla fine si manifesta con compreso sgomento del "collega" ungherese che attaccato alla canna dei gas egoici di un successo sensazionalistico, cercava di convincere il nostro eroe ad una retromarcia nel monetizzare magia.

È chiaro che non si fa niente per niente, ma il credito guadagnato esula da conti in banca effimeri dove ricordiamoci quella massima cristica del cammello, la cruna dell'ago, il ricco, il Regno dei Cieli. E l'unguento del passaggio tra il qua e il là rimane sempre l'amore e il protagonista lo sa benissimo che non bisogna andarlo a cercare: esso arriva al momento giusto, al momento che deve arrivare.

E i disegni imperscrutabili di Dio diventano lievemente leggibili quando la tua essenza si osmotizza con l'Eterno ed il lavoro trascendentale di vite e vite produce quella sedimentazione di polvere di stelle. E nella grazia di Dio tutto accade impersonalmente, non siamo più condizionati da colpe monoteiste affibbiateci, e chiamiamo coscientemente la "buona novella" l'energia dell'amore che ci rimette in riga con l'armonia di questo universo.

Ed eccola lì la magia di questo Simone, rifiutare la vanità dell'eresia di poter risorgere dopo tre giorni dal seppellimento, simulare tenzone divina tumulando il suo riflesso già mistico, e abbandonare la sfida arrendendosi all'Amore, con una sparizione che abbraccia la fede del "tutto accade".

Ma l'aria decadente vagabonda Péter Andorai, l'attore protagonista, ce la fa sentire per tutto il film. La consapevolezza di una comunanza di elemosine con la carta non numerata dei tarocchi fa sì che ogni situazione dove interviene diventi un piccolo miracolo. C'è luce, si sente l'umiltà dei sentimenti, si percepisce l'unità del tutto, Re e Mendicante sono la stessa cosa, le preoccupazioni si dissolvono, le difficoltà si risolvono con un sorriso, le frenesie esterne si placano col silenzio.

Ildikó Enyedi, la regista, disegna una favola ammantata di atavica solitudine, di romanticismo distaccato, oscuro, trasversale, inverosimile... come la vita.
E gli sguardi di compassione accendono la misericordia verso noi stessi quando il fallimento ci fa morire per poi, però, risorgere: "Non c'è niente, a ben riflettere, che induca a voler essere primo in una gara" (F. Kafka).

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