Ecco a voi il nuovo, decimo passo della serie "Alla scoperta del Death Metal dimenticato".

Pur conoscendo questo da lavoro da un sacco di tempo, ci ho messo un sacco di tempo a recensirlo; questa volta non si tratta di negligenza né di dimenticanza, si tratta di una crisi creativa che mi prende ogni qualvolta lo metto nello stereo e apro una pagina bianca. Questo lavoro è uno dei dischi Death (non Brutal, mi raccomando) che mi affascina di più e che contemporaneamente mi lascia spiazzato ad ogni ascolto. Mi lascia spiazzato per la sua natura profondamente occulta e oscura, mi lascia spiazzato perché non capisco mai se è fatto con la serietà che vuole trasmettere (in tal caso sarebbe preoccupante) o con un perfettamente dissimulato spirito goliardico (in tal caso sarebbe lodevole), mi lascia spiazzato per il suo artowork veramente straordinario (sembra una rivisitazione "infernale" di Hieronymous Bosch) e inquietante. Quello che mi trovo ad ascoltare è comunque un Death Metal veramente sinistro che ha come unico paragone il tanto ripudiato "Soulside Journey" dei Darkthrone.

Gli Infester furono una formazione statunitense che passò con la velocità di un tappo di champagne nello scenario del metal estremo, non senza fare "danni", però; tant'è che seminarono sul loro percorso questo "To The Depths, In Degradation" che, nonostante non abbia trovato alcun proselito, ha lasciato un segno indelebile su chi seguiva la scena in quegli anni o su chi non l'ha dimenticata negli anni successivi (come il sottoscritto). Il loro unico lavoro infatti rappresenta un caso irripetuto e, giunti nel 2007, irripetibile nell'intero genere; uscito nel 1994 (sul morire della grande ondata Death), fu sicuramente influenzato molto dall'ormai avviato movimento Black. Un'ispirazione solo vaga sotto il profilo musicale (mi viene da citarvi "Chambers Of Reunion"), molto più evidente sotto il profilo tematico (scevro però dell'impulsività adolescenziale di gruppi come Darkthrone, Immortal e Mayhem e al contrario curato con quella razionalità quasi filosofica di cui Chuck Schuldiner, in altri modi, aveva già dato prova). Insomma, di primo acchito sembrerebbe un vero e proprio Concept Album, ma delle Intro non propriamente serissime e la foto in posa abbastanza idiota della band, fa sorgere qualche dubbio sull'effettiva natura di questo disco. Barzelletta o Bibbia Nera? Leggendo i testi, come dicevo molto curati, e ascoltando l'incedere demoniaco delle canzoni, parrebbe che i tre fossero seri (e se i testi non fossero così ombrosamente riflessivi, li definirei "invasati"), ma gli elementi sopra elencati mi lasciano un dubbio che spero voi, con l'ascolto, mi aiutate a risolvere.

Sotto un profilo strettamente musicale, gli Infester sono debitori al Death più cupo e oppressivo di Band come primi Gorguts, i precedentemente recensiti Disincarnate, Incantation, Benediction, Accidental Suicide: chi conosce gli ultimi tre gruppi da me menzionati, potrà immaginare che non manchino interpolazioni Doom. Le influenze del Thrash metal sono però molto meno importanti in questo cd, forse già "traviato" dalle nuove tendenze del metal estremo; solo di rado troverete partiture dal sapore ottantiano, per il resto troverete un riffing vecchio ma già allontanatosi dal Thrash/Death.

La chitarra, suonata dal cantante, sciorina riff neri come la pece bollente descritta cosi bene da Dante nel canto XXI, affilati come i "raffi" dei Demoni, non sempre diretti e comprensibili; se state pensando che in questa descrizione mi sia fatto suggestionare dall'artwork, non posso darvi torto ma se ascoltaste questo disco vi rendereste conto che almeno in questo caso la grafica descriva magistralmente il contenuto del disco. Immancabili i rallentamenti, in cui gli accor(ri)di sono a volte intervallati da autentici silenzi; ciò che trasmette la sei corde, tanto nelle accelerazioni quanto nelle decelerazioni, è un senso di male al di là della dimensione umana, quell'"aura morta" che sempre il sommo poeta nomina nella sua opera. Se unite questa raffica di cattiveria a doti tecniche per lo meno buone (la produzione è abbastanza confusa), vi farete un'idea di quanto particolare risulti questo disco. Buona la prestazione del bassista, al contrario della chitarra privilegiato dalla produzione; il suo strumento è sempre udibile e occupa una posizione di rilievo completando doverosamente l'atmosfera. Ottimo il drumming, tecnico nelle accelerazioni (spesso molto lunghe) e sentito nei rallentamenti; accanto ai soliti tempi classici del Thrash e del Death primordiale, si nota un uso massiccio di Blast Beat (sia nella sua forma più semplice, il Blast Europeo cosiddetto, sia nella sua variante Brutal, il Bomb Blast) e una ragionevole dose di controtempi deliziosi e messi al punto giusto.

Infine c'è la voce; probabilmente è effettata, ma in fin dei conti, non me ne può fregare di meno. Immaginate il Growl più marcio e luciferino che vi viene in mente e tenente presente che nel 1994 non era di moda il "ringhio" tipico dello Slam (estremizzazione del Brutal) attuale; credo che comunque non ci siate nemmeno vicini. Il Growl invade praticamente tutto il campo sonoro creando una sensazione avvolgente pur senza ricorrere all'eco o al riverbero: il risultato è un gorgoglio proveniente chissà da dove che riempie la stanza e che non di rado si trasforma in urla che potrebbero provenire solo dalla bocca di un dannato (sempre per continuare la mia lunga metafora dantesca). Ascoltate la prima traccia e credo che rimarrete basiti appena inizia a cantare (almeno io lo sono rimasto).

Le canzoni sono lunghe (una media di più di cinque minuti a canzone), composte e strutturate molto bene e accanto agli elementi stilistici tipici, troviamo degli arrangiamenti di tastiere sempre misurati e adatti a ispessire l'atmosfera: allo stesso fine concorrono quelle perverse "melodie" di chitarra che ogni tanto spuntano nel disco, lontane, sulfuree. Non tutti gli episodi sono egualmente efficaci e canzoni come la conclusiva "Mephetic Exhumation" o "A Higher Act Of Immutabile Beauty" finiscono per influire negativamente sul giudizio finale, altrimenti eccellente. In ogni caso, se c'è una cosa che non manca a questo cd, è il mood, immerso nella penombra più terrificante e tesa.

"To The Depths, In Degradation" è un disco che tutti gli amanti di Death dovrebbero possedere e venerare; un autentico disco di Culto che il mancato successo non ha trasformato in un fenomeno. Dieci tracce di "Dark Art For Black Souls" ("Arte Oscura Per Anime Nere), come recita una scritta sul booklet: uno sguardo panoramico sui gironi infernali.

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