Sarebbe inutile dire che Ingmar Bergman ha fatto la storia del cinema. Che la sua morte, avvenuta il 30 Luglio di questo 2007 (lo stesso giorno di un'altra personalità culto nell'ambito cinematografico, il nostro Michelangelo Antonioni) ha lasciato un vuoto incolmabile. Che i suoi film non invecchieranno mai perché affrontano temi di valenza universale, aldilà dei limiti di tempo e spazio. Che perdersi nella sua genialità, nelle atmosfere oniriche delle sue opere nelle quali sono calati personaggi di un'umanità commovente qualifica il suo cinema come qualcosa di immortale. Nonostante tutto questo preambolo sia letteralmente banale, mi sento obbligato a farlo semplicemente per dare un incipit decente (Magari anche un po' di rito) a questa recensione che vuole essere un omaggio alla sua grandezza.

"Il posto delle fragole" è un film del 1957, uno dei più noti di Bergman e dei più apprezzati (fra i premi ricevuti un Oscar come miglior soggetto originale, Orso d'oro a Berlino, il premio della critica a Venezia). Il protagonista è un vecchio e affermato dottore Isak Borg, il quale deve recarsi a Lund per essere insignito con una onorificenza nell'università della suddetta città. Il giorno prima della partenza egli sogna una bara rovesciarsi fuori dal carro funebre e, trascinato da un uomo riesce a riconoscere nelle fattezze del morto il suo viso. La mattina della partenza egli rifiuta di prendere l'aereo e comunica alla sua governante la volontà di partire in automobile, in compagnia della sua nuora Marianne (La donna si trova in casa del suocero a causa di problemi coniugali, come si scoprirà in seguito).Da questo momento in poi, Isak avvia una riflessione sulla propria vita (in particolar modo della sua giovinezza, infatti le fragole simboleggiano la primavera e, in senso lato, la gevuntù), traccia un bilancio che riesce a far emergere ricordi positivi e negativi che si intrecciano in un percorso meditativo di espiazione, una personale "Via crucis" che ha come meta finale l'emblematica onorificenza accademica.

Durante il percorso, Isak incontra nella realtà materiale e in una parallela una serie di personaggi attraverso i quali ripercorre a ritroso la sua esistenza penetrando nel suo passato nel ruolo di spettro di sé stesso, con i quali si confronta fino a comprendere l'impossibilità di trovare un punto d'incontro fra diverse idee, l'impossibilità intrinseca nell'unilaterale, l'incomunicabilità alla base dei rapporti umani. Quando Isak rivive il momento in cui il fratello Sigfrid strappa un bacio, anni addietro, alla sua amata cugina Sara, che gli aveva fatto vane promesse d'amore, quando assiste alla scena di seduzione fra la sua defunta moglie e un suo vecchio conoscente, il protagonista viene messo faccia a faccia con l'impossibilità di conoscere del tutto le altre persone, anche quelle a noi più vicine. Ognuno è un microcosmo inaccessibile che si schianterà prima o poi contro un altro ma che non si aprirà mai. L'irreversibile inconciliabilità che emerge durante la lite fra due coniugi che i protagonisti caricano sulla loro auto dopo un incidente, le divergenze fra i tre ragazzi (due uomini e una donna, che ha le sembianze della cugina Sara) ,ai quali Isak e Marianne danno un passaggio, relativamente all'esistenza di Dio ne sono altri esempi.ll film si conclude con un primo piano del protagonista, il quale si addormenta cullato dai ricordi della sua infanzia, con un sorriso appena abbozzato che sembra voler sottintendere una cosciente consapevolezza del suo andare incontro alla morte che gli permette di trovare una calma interiore e di spazzare via gli isterismi e il vacuo e spasmodico attaccamento alla materialità.

La filmografia di Bergman è costellata di opere difficili, a volte criptiche ma "Il posto delle fragole" rappresenta un'eccezione. E' un film sulla bellezza della vita ma anche sulla sua limitatezza temporale, sulla solitudine alla quale ci costringe ed è in questo panorama che si inserisce la titanicità dell'amore familiare (come fanno supporre i tentativi da parte di Isak di far riconciliare la nuora con suo figlio).

Un classico imperdibile.

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