Dieci minuti prima della visione di "Un mondo di marionette"
Che mi vedo stasera? Qualcosa di Bergman andrà bene... magari "Sete"... no, quello c'ha i sottotitoli, mi viene mal di testa. "Il settimo sigillo" già visto... "Un mondo di marionette"! Vediamo un po': regia, soggetto e sceneggiatura di Ingmar Bergman, terzultimo film del regista svedese, precisamente 1980, produzione e attori tedeschi... vabbè, inutile che mi leggo i nomi tanto neanche li conosco. Vada per questo.
Venti minuti dopo la visione di "Un mondo di marionette"
Alla fine l'ho trovato. Ho completato la lista dei miei dieci film preferiti. Ma ne sono davvero sicuro?... voglio dire, non è che parlo in questo modo sulla scia di un entusiasmo momentaneo? Sarà meglio ricapitolare... dunque... il film è costituito da un prologo ed un epilogo fra i quali sono racchiusi dieci capitoli preceduti da didascalie che raccolgono una serie di sequenze tenute insieme da un ordine logico, non cronologico (Un libro o un'opera teatrale?). Nel prologo viene rappresentato l'omicidio di una prostituta ad opera del protagonista, Peter Egermann e nel corso dell'opera si scopre, proprio tramite la scansione in "capitoli" il percorso che ha portato l'uomo all'assassinio. Cosa succede venti ore dopo la catastrofe? Cosa successe quattordici ore prima? E una settimana dopo? I personaggi che vengono chiamati in causa sono essenzialmente tre: la moglie Katarina Egermann, la madre Cordelia Egermann, lo psichiatra Morgan Jensen, il collaboratore di Katarina Tim. Quest'ultimo è la causa di tutto: rivela infatti all'investigatore di aver amato Tim e di averlo spinto lui stesso verso una prostituta per allontanarlo dalla moglie e far si che si avvicinasse a lui.
Cinque minuti dopo l'inizio della stesura di questa recensione
E bravo, sei riuscito a ridurre un capolavoro ad una semplice storiella di cazzo. Sei così stupido da ritenere un film fra i tuoi preferiti per la storia? Ma guardati la Melevisione piuttosto.... Dico, ma sei capace di cacciare fuori le ragioni per cui la critica cinematografica dice spesso e volentieri numerose cazzate? Si, proprio la critica...quella che ha osato affermare "Inizia a vacillare anche il trono di Bergman" oppure "Avvantaggia l'aspetto drammatico e penalizza l'introspezione"....mah!...
Tre quarti d'ora dopo la visione di "Un mondo di marionette"
Il lungometraggio conclude il periodo tedesco del regista. In effetti sono completamente scomparsi i toni lievi e il disincanto tenero di un "Il posto delle fragole" e viene fatto spazio ad un'analisi dell'anima umana ben più fredda e distaccata, tesi questa confermata dal referto medico dello psichiatra posto in conclusione. Ad accentuare i tratti marcatamente pesanti della pellicola concorre il bianco e nero (Il film è a colori soltanto nel prologo), un uso della luce talora tagliente, che tende a coprire di netto i personaggi come durante la scena nello studio dello psichiatra, talora alienante, spinto all'esasperazione, come nella narrazione onirica del sogno di Peter in cui il protagonista e Katarina sembrano due aneroidi in un spazio neutro e asettico. Le ambientazioni contribuiscono ad evocare quella crudezza di cui sopra: la decadente casa della madre Cordelia, lo squallore del bordello, la volgare tristezza delle prostitute.... Però sarebbe poco equo negare a questo film l'aggettivo "bergmaniano": ricorre spesso il tema dei problemi coniugali e i dialoghi perfetti e splendidi si impostano secondo le esigenze di una diatriba fra contrastanti punti di vista.
Quarantasei minuti dopo la visione di "Un mondo di marionette"
Peter è un uomo ricco, soddisfatto professionalmente e sentimentalmente. Come un investigatore, Bergman risale dunque alle motivazioni di un delitto commesso da un uomo ricco, soddisfatto sul piano professionale e appagato su quello sentimentale. Ma in questo caso non si tratta della solita tirata antiborghese che, diciamocelo, era vecchiotta anche negli anni '80, e poi Peter non è definibile propriamente come un borghese: parla con tranquillità del suo legame sessuale con la moglie ed è felice di aver costruito con lei una coppia aperta. Ma allora cosa c'è che non và? La razionalizzazione di tutto: degli interessi, dei modi di comunicare, dell'amore stesso, come se tutto facesse parte di un eterno spettacolo dove non ci si può permettere di sbagliare. Nel sogno che Peter racconta appaiono lui e la sposa in atteggiamenti languidi ai quali fanno seguito momenti di violenza apparentemente insensata. Entrambi sono vittime di un ciclo che va aldilà della semplice routine quotidiana, sono attori della loro stessa vita dalla quale il protagonista tenta inconsciamente di evadere con la distruzione, il macabro, come una compagnia di burattini, o forse sarebbe meglio dire marionette fra le quali ve ne è una impazzita.
Dieci minuti dopo l'inizio della stesura di questa recensione
Però c'è da essere ingiusti nel non considerare la figura di Tim, collaboratore omosessuale di Katarina. Indipendentemente dal fatto che è il protagonista di uno dei più intensi monologhi della storia del cinema (Katarina addormentata e lui seduto vicino soltanto alla sua immagine riflessa nello specchio) alla fine Tim si rivela quasi il responsabile in senso lato dell'assassinio della prostituta e svela il contenuto essenziale della pellicola: l'inconciliabilità pericolosa fra l'esigenze individuali e i compromessi dell'amore, la conseguente solitudine, l'inaridimento dello spirito.
Carico i commenti... con calma