Il Medio-Evo secondo Ingmar Bergman
Il Signore Tore ha due figlie. Karin è bionda, bella e buona, zelante coi genitori coi servi e con gli estranei: e, forse, proprio questa sua qualità le costerà la vita. Ingeri, in stato di gravidanza dopo una violenza sessuale, è buia, ombrosa e invidiosa di Karin, che detesta. Quando Karin viene inviata a portare ceri alla Madonna, come solo una vergine può fare, Ingeri fa scivolare un rospo nel pane che servirà per la sua colazione. Lungo il tragitto Karin, che ha litigato con la sorella e se ne è allontanata, proseguendo da sola, è fermata da alcuni pastori (in realtà sono dei malfattori) e si attarda a parlare con loro. Innocente ed altruista, offre di condividere il suo pasto. Proprio mentre prendono il pane per cibarsene il rospo depositatovi da Ingeri salta fuori dalla pagnotta. Questo fatto improvviso irrita non poco ed insieme eccita gli uomini. Essi aggrediscono la ragazza, prima la stuprano a turno, poi la uccidono senza motivo con una bastonata sulla testa. La spogliano della sua preziosa veste e lasciano il suo corpo esanime e nudo a terra. Più tardi, quando sono ospiti della casa padronale del Signore Tore, essi offrono di vendere la veste di Karin, sporca di sangue, proprio a sua madre. La donna, ineffabile e razionale, li rinchiude per evitare che scappino e avverte il marito. Dopo un elaborato rituale pagano di abluzione purificante, Tore uccide i pastori e, con essi, anche l'incolpevole bambino che li accompagna. Poi si reca alla ricerca del cadavere della figlia e, giunto sul punto esatto in cui la sua Karin giace morta, giura di costruire una chiesa in quel posto. Come per miracolo, in risposta divina al suo gesto, sullo stesso posto una polla d'acqua sgorga improvvisamente. 21° film di Bergman, il primo (e anche il solo?) in cui l'intervento di Dio nell'azione è concreto: il divino si materializza con un miracolo. Ambientato in un livido medioevo, che lo accomuna a “Il settimo sigillo” - riferimento più immediato nella filmografia di Bergman - ma dal quale subito si distanzia, perchè in esso la violenza è un fatto privato, mentre in quello era generale e generalizzata. E anche perchè non si preoccupa, delle grandi problematiche dell'umanità, ma dei piccoli-grandi drammi privati. In quello, Antonius Block cerca spasmodicamente Dio; nel successivo si invoca Odino, il dio pagano, e si prega il Dio dei cristiani, contemporaneamente ma in un'altra parte della casa. In questo ci si sottopone ad un rituale catartico pagano e si manda una vergine a portare i ceri alla chiesa cristiana di appartenenza. Insomma ne “La fontana della vergine” ci si trova nel bel mezzo di una continua tensione tra tradizione dell'antico e ventata della nuova religione; tra misticismo e pragmatismo. Nel film, poi, si da molto più peso alle immagini che non alle parole, ai dialoghi: come se Bergman volesse indurre lo spettatore, già durante la visione, ad una più diretta ed immediata meditazione. La fontana della vergine, tra i film di Bergman, è l'unico in cui, direttamente, si manifesta la presenza di Dio. Anche se la teofania è mediata ed avviene attraverso un espediente didascalico e, tutto sommato, un po ingenuo. Ed è anche quello in cui più accurata è la depurazione dai molteplici simbolismi cari al regista. Ed è anche quello in cui più che in altri appare evidente la commistione tra paganesinmo e cristianesimo; tra sacro e profano; tra religione e laicità; tra aspetto del profondo rispetto divino ed atteggiamento profondamente laico.
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