Ci sono scrittori le cui opere, mentre essi sono ancora in vita, vengono completamente (o quasi) ignorate. Spesso accade che tali scrittori vengano riscoperti (per non dire scoperti ex novo) dopo la loro morte e che acquisiscano in seguito una fama che non si sarebbero mai immaginati in vita. Strano scherzo del destino: essere più famosi da morti che da vivi... Ma c'è un autore in particolare le cui opere sono state trattenute dal baratro dell'oblio per decine di anni. Isidore Lucien Ducasse, il Conte di Lautréamont: figura enigmatica della letteratura francese della seconda metà del XIX secolo, ritenuto empio e immorale in vita quanto osannato ed eletto a precursore di un'intera corrente letteraria dopo la morte.

Ducasse nasce a Montevideo (Uruguay) nel 1846, da genitori francesi. In seguito viene mandato in Francia per acquisire un'istruzione superiore (conseguirà un diploma in materie scientifiche). Ritorna poi in Uruguay e infine si stabilisce definitivamente a Parigi (1868). La sua è stata una vita breve: muore il 24 novembre 1870 all'età di 24 anni, nella propria abitazione, in circostanze non ancora chiare. Il suo certificato di morte recita: «homme de lettres [...] en son domicile [...] sans autres renseignements». Uomo di lettere muore nella propria abitazione, senza altre informazioni. I vicini dicono che usasse scrivere suonando al pianoforte, di notte, declamando le proprie composizioni. Cosa ci ha lasciato questo giovane, morto «sans autres reseignements»? Due cose: gli "Chants de Maldoror" e le "Poésies".

La sua opera magna sono questi "Canti di Maldoror", scritti "problematici" e impenetrabili. Vengono stampati per la prima volta nel 1869, ma la violenza e le nefandezze in essi sono tali da bloccarne la diffusione per paura della censura e le copie rimarranno in giacenza nei magazzini fino al 1874, anno in cui l'opera viene pubblicata - con scarso successo - in Belgio. È dunque con questa mancata pubblicazione che si inaugura l'oblio che avrebbe avvolto a lungo questo scrittore e che sarebbe terminato solo nella prima metà del Novecento.

Che genere è? È poesia? Di cosa parla? Domande a cui è difficile dare una risposta univoca. Possiamo mettere un primo paletto definendolo "poesia". Non è in versi, ma il testo è idealmente diviso in "strofe"; una risposta che è ritenuta ormai definitiva è quella di considerarlo un poema epico in prosa. Il tutto è suddiviso in 6 canti, con il sesto che dà forma ad un'opera nell'opera, un vero e proprio romanzo (uscendo quindi dalla categoria della poesia).

Il protagonista è Maldoror. E che fa questo Maldoror? Beh, il suo passatempo preferito è inveire contro l'umanità e contro il Créateur. Con "Creatore" è da intendersi sia Dio sia il poeta orfico, il poeta demiurgo che crea, la concezione romantica del poeta, il quale agisce per una sorta di ispirazione "divina". Lautréamont-Maldoror è quindi il paladino della distruzione della poesia canonica. Dissacra i capostipiti della tradizione poetica francese e non solo, prende d'esempio e allo stesso tempo deturpa Baudelaire, Hugo, ma anche Byron, il romanzo nero, il feuilleton, la Bibbia, persino lo stile dei manuali scolastici sui quali studiava da ragazzo e innumerevoli altre fonti. Composti con una costruzione sintattica che sta in piedi perfettamente ma che lancia una sfida ardua al lettore (che facilmente si perde), gli Chants prendono spunto da infinite fonti letterarie e mescolano il tutto, senza una vera linea narrativa, dando sfogo alle fantasie e ai pensieri di Maldoror, accostando stili diversi e quasi in contrasto e abusando dell'espediente poetico per eccellenza: la similitudine. E allora assistiamo a odi al "vecchio oceano" (con echi di Baudelaire e Byron), a comparsate di bestiari fantasiosi, ad azioni deplorevoli ed empie, ad atti di assoluta e gratuita crudeltà, fino alla grande ed epica lotta tra Maldoror e il Creatore, colpevole di aver creato l'uomo «a sua immagine e somiglianza». In Maldoror c'è un anti-umanismo che si trasforma in teofobia e in cainismo (la scelta deliberata del Male da parte di Maldoror, marchiato già nel nome). La sua è una crociata contro la Coscienza, la testimone in Terra di Dio, la sua presenza nell'Uomo, la "scintilla divina" che sta in ognuno di noi. Lautrèamont-Maldoror vuole distruggere tutto questo. Negli Chants regna la distruzione totale: Lautréamont non risparmia nemmeno sé stesso, il Poeta (come detto in precedenza).

E farà di più: nelle "Poesie" (stampate e pubblicate in due rate nel 1870, questa volta con il suo nome di battesimo, Isidore Ducasse) - titolo fuorviante perché di poetico quest'opera non ha assolutamente nulla essendo una rielaborazione di massime prese da moltissime fonti letterarie e una serie di elucubrazioni sulla letteratura - rinnegherà totalmente ciò che ha scritto negli Chants, dichiarando la volontà di cantare solamente il Bene e la speranza. Un rinnego sconcertante, ma di cui Ducasse non si cura. D'altronde ha sempre dimostrato un debole per la "captatio malevolentiae" piuttosto che per la ricerca della comprensione e dell'assenso del lettore.

È qui che si aziona il "dispositivo Maldoror-Poésies", come l'ha battezzato Francis Ponge, poeta d'avanguardia del Novecento: due opere che divergono per andare una al Male estremo e l'altra al Bene estremo; ma in entrambe permane la stessa violenza, la stessa forza di difesa dei due ideali. È un "dispositivo" di totale distruzione, che annulla il potere della coscienza di distinguere tra Bene e Male e arriva addirittura ad annientare la letteratura stessa. Ponge scrisse: «Aprite Lautréamont! Ed ecco che tutta la letteratura si rivolta come un ombrello. Chiudete Lautréamont! E tutto, presto, si rimette a posto». Paradossalmente è in questo potere distruttivo che risiede la forza di Lautréamont. Questo e il suo pensiero che "la poésie doit être faite par tous" (la poesia deve essere fatta da tutti) saranno, nel Novecento, una delle colonne fondamentali del pensiero Surrealista, che rivitalizzerà Lautréamont eleggendolo a suo precursore e dandogli la notorietà che in vita non ha mai avuto.

È dunque l'antitesi insita nell'opera di Lautréamont che ne delinea la funzione e la forza. Solitamente però Ducasse viene ricordato principalmente per i "Canti di Maldoror". Consigliarne la lettura? No. No, non mi prendo questa responsabilità verso un potenziale lettore. È un'opera difficile, labirintica, estrema, violenta, grottesca, ripugnante, che mette in chiaro fin da subito che le cose non saranno facili. Vi perderete, proverete ribrezzo, penserete che questo individuo era solo un mentecatto. Ma questo "mentecatto", morto quella mattina del 24 novembre, «senza altre informazioni», è stato una delle cose più indomabili e affascinanti che la letteratura abbia mai avuto.

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