La semplicità saggia che caratterizza la bella “deriva” della carriera di Ivano Fossati è stata ampiamente confermata dal concerto tenuto il 4 settembre '06 nel meraviglioso Auditorium del Lingotto di Torino, posto che già in sé merita visita e trasferta.

Innanzitutto, appunto, la lode, solita, va alla bellezza della sala ed alla assoluta perfezione dell’acustica: uno dei pochi posti dove si sente musica qualitativamente migliore, o quantomeno pari, a quella che esce da uno stereo di buon livello. Spesso i live hanno un difetto che si rende sempre più insopportabile man mano che invecchia l’orecchio (e il rompiballismo) dell’ascoltatore: il suono. Poi se l’ascoltatore è, nel suo piccolo, un musicista ed ha passato gran parte della propria esistenza nell’ascolto, nell’aquisto e soprattutto nel culto della musica, la cosa si fa ancora più seria. Ed ecco allora che il rullante non suona come vorresti, che i bassi si senton poco e sono poco “rotondi” , che la voce è un po’ troppo pastosa e si sentono male i testi… è un po’ come conoscere molto bene il vino…: si rischia di non assaporarlo più. Bene, non è che tutto ciò al Lingotto non avvenga, ma avviene in maniera molto più attutita e sopportabile. Al concerto di Fossati, ad esempio, all’inizio i suoni lasciavano un po’ a desiderare, ma è abbastanza normale: una sala vuota, per quanto bella, non suonerà mai come una piena. Dopo un po’ , però, tutto bene. Anzi… : benissimo.

Fossati ha fatto i conti col suo passato, e soprattutto con quello strumento geniale e assoluto, ritmico/armonico, legnoso e cordato, che è la chitarra. Ovvero il “ferro” più usato ed abusato degli ultimi anni, un po’ da tutti e spesso a vanvera. Ivano, invece, ha un bel passato di chitarrista e di cantautore chitarroso, e nel periodo “pianistico” sembrava quasi volersene dimenticare e volerla ripudiare. Nel periodo che va da “Discanto” a “La Disciplina Della Terra” , con il bell’apice dello strumentale “Not One Word” le chitarre spariscono, per lasciare spazio a piani malinconici e vagamente jarrettiani, spesso suonati benissimo e assolutamente a proposito. È il cosiddetto “periodo triste”, quello che per molti è e rimane l’ assolutamente migliore dell’ artista. Io… beh… non so. “Macramè” e “La Disciplina” sono dischi a dir poco eccezionali. E non dimentichiamo ciò che Ivano ha scritto, in quegli anni, anche per Faber e per il “loro” Anime Salve”. Roba perfetta, triste e bellissima. Ma scritta. Cioè… già scritta. Che fare, allora, ripetersi? Riportare nei negozi lo stesso disco e nei concerti la stessa scaletta, sempre? No: la scelta è stata quella di un uomo saggio e probabilmente felice, che ha fatto i conti con tutti i “se stesso” che l’hanno accompagnato.

Ed ecco allora l’apertura “dura” , con una “Ventilazione” che non si sentiva da tempo immemorabile. A colpire subito il muro di chitarre: tre, davanti, lui compreso. Subito dopo una perla antichissima (28 anni fa!) e schiettamente blues: “La Crisi”. Obbiettivamente, roba da non credere. Poi alcune belle presenze dell’ultimo album, anche se sono rimaste fuori alcune perle, su tutte l’ inarrivabile “Il Battito”, che però non è neanche male che rimanga lì, altera e intonsa nella sua assoluta perfezione da studio. Dal penultimo ha brillato “Il Bacio Sulla Bocca”, pezzo in sé bellissimo. Completamente dimenticati, a conferma di quanto sopra, “Discanto” , “Macramè” e “La Disciplina Della Terra” . Alcuni grandi classici hanno visto l’innesto delle chitarre, ultimamente o assenti o del tutto secondarie, soprattutto in “Mio Fratello Che Guardi Il Mondo” , forse mai così bella. Poi una “Panama” via di mezzo tra l’originale in studio e la versione dei bellissimi live d’inizio ’90, ed un’altra perla del repertorio “dimenticato”. Un altro reggae di quelli che amava fare una volta, la bellissima “Traslocando” da “Le Città Di Frontiera” (1983). Dallo stesso disco anche la bellissima e chitarristica “La Musica Che Gira Intorno”.

Che dire: che Fossati ama oggi di più “Le Città Di Frontiera” che “Macramè”? Probabilmente sì, e forse non è neanche un male, dal momento che quelle cose là sono bellissime, le ha già fatte e sono immortalate per il nostro imperituro piacere, e queste sono assai divertenti da ascoltare live. Chiusura con la splendida “C’ è Tempo” , “presa” dalla band un po’ troppo veloce, anche se molti pare non se ne siano accorti, e con la ormai tradizionale e conclusiva “Il Disertore” a cappella (che stia diventando l’ ”Albachiara” degli intellettuali… chissà). Dunque Fossati che rivede e ripercorre integralmente se stesso? No: “La Mia Banda Suona Il Rock” non la rifarà mai. Pare.

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