Il 2014 è l'anno dei buoni album: molte conferme, poche sorprese.
Che l’ispirazione vada scemando fra le nuove e le vecchie leve? E così capita di ritrovare l'ultima fatica discografica del veterano J Mascis fra le migliori cose uscite quest’anno, più esattamente fra i non-capolavori di quest'anno, che nel suo caso non equivale a dire mancato-capolavoro.
Cosa chiedere del resto al buon Mascis?, a cui vogliamo tantissimo bene (Mascis – lo so, è un'immagine abusata (quella dello zio, intendo), ma vi giuro mi era venuta in mente prima di averla ritrovata scritta da qualche altra parte, si vede è una sensazione universale – Mascis è il buon caro zio che si presenta al pranzo della domenica in ritardo e con la macchina sfasciata, è quello che da piccolo ti insegna a dire "affanculo" e ha il fiato di birra). Cosa, dunque chiedere al fondamentale Mascis?, che nel bene o nel male è uno di quelli che non solo hanno segnato una generazione, ma hanno anche traghettato il rock durante una fase difficile della sua esistenza (la via in salita che ha condotto gli ottanta ai novanta). Al carissimo Mascis, non chiediamo certo dei capolavori nell’Anno di Grazia 2014, ma gioielli di sincero, schietto e defilato splendore. E con "Tied to a Star", sulla scia della convincente prova precedente ("Several Shades of Why", del 2011), Mascis non indietreggia di un passo e ci consegna un lavoro all'altezza della sua fama.
E per chi, come me, si è formato musicalmente all'inizio degli anni novanta (con sullo sfondo il grunge e tutta quella roba alternativa che andava in quel periodo), è inevitabile, ascoltando Mascis, sentirsi a casa, cullati e scaldati dai riflessi di quei giorni irrequieti ma forse felici (le T-shirt portate sopra alle camicie, i jeans strappati, le scarpe da tennis bianche; e poi le fredde mattine di autunno, lungo i viali alberati, il fumo che usciva dalla bocca, mentre s'andava a scuola; incidere frasi fatte sulla formica dei banchi, andare a giro il pomeriggio appena "finiti" i compiti per casa; ed ancora: prendere il treno, nei soleggiati pomeriggi di primavera, per andare altrove a comprare i cd perché nella nostra città non si trovava un cazzo; scappare, mano nella mano, inseguiti da cani inferociti per aver violato una qualche proprietà privata (ok, sto romanzando); ed ancora: scrivere messaggi su biglietti di carta perché non c'erano i cellulari, girare intorno otto volte alla tipa che ci piaceva nella speranza di uno sguardo ricambiato perché non c'era Facebook; ed infine: tutte quelle puttanate e quel vivere inconsapevolmente il presente, con tutta la vita davanti, ma senza la saggezza/disperazione per cogliere le occasioni, anche se lì per lì sembrava tutto così difficile, ma anche possibile, con semplicemente l'eternità davanti, prima dei Prodigy di merda, prima dei rapper neri in limousine).
Ma al di là delle reminiscenze, "Tied to a Star", più che altro, ci dimostra ciò che possono fare un uomo seduto su un amplificatore e la sua chitarra: emozioni dal cuore dell'artista dirette verso il cuore stesso dell'ascoltatore, senza mediazione alcuna. E J, passano gli anni, è sempre lo stesso, solita voce strascicata, cantilenante, sorniona. Che, da bravo ex-(indie-noise)rocker dai lunghi e sfibrati capelli bianchi, senza snaturarsi, apre l'armadio dei ricordi ed opta per la veste che meglio gli calza: quello del folk senza tanti fronzoli e dalle melodie semplici, che poi è la tappa obbligata, prima o poi, per tutti quelli che in America possiedono una camicia a quadri ed una chitarra elettrica (bello il mi Neil Young...).
Chitarra elettrica che permane, s'insinua, fischiante-frusciante-ronzante come se la medesima foga noise che aveva caratterizzato i primi passi mossi dal Piccolo Dinosauro non si potesse contenere sotto il fragile guscio di un rigore acustico auto-imposto come nuovo codice di espressione; come se Mascis proprio non ce la facesse a comportarsi bene, fare il maturo fino in fondo, alienato/disadattato/incorreggibile bambinone saldamente aderente alla sua poetica di non-eroe. Dieci ballate, dunque, che sono nenie di intimo e commovente lirismo che si tingono di tenui colori ed assumono i contorni di immagini naif (quelle della copertina del fido illustratore Marq Spusta) evocanti un mondo bambinesco (non privo di fratture) a cui noi tutti (figli musicali degli anni novanta in primis) vorremmo ritornare (dannata nostalgia!). Strumentazione ovviamente ridotta all'osso, ove il Nostro si fa carico di tutti gli strumenti (compresa la batteria nelle sue sporadiche apparizioni), qua e là aiutato da amici, chi al piano, chi ad una chitarra, o più semplicemente dietro al microfono (fra gli altri, Cat Power presta la voce in "Wide Awake").
Insomma, inutile girarci intorno: a partire dal suo particolare rantolo, che è nevrosi e fanciullesca ingenuità insieme, ed inconfondibile marchio di fabbrica, J Mascis è sempre J Mascis, sospeso fra malinconico cantautorato (si veda la bella opener "Me Again"), brani di rock "scanzonato" che potrebbero essere benissimo degli outtake dal repertorio dei Dinosaur Jr. ("Every Morning" su tutte) e sussulti dell’Io che invero si risolvono in echi di una rappacificante spiritualità (la nervosa "Heal the Star", con tanto di coda distensiva a base di percussioni etnicheggianti). E se posso spendere due parole in più su “Heal the Star”, che è la mia preferita, gradirei aggiungere che per il sottoscritto non c’è niente di più esaltante di un falsetto strampalato che si sovrappone improvvisamente al montare scalcinato di una chitarra distorta (la quale, per la cronaca, sporca le corde, quasi divelte, della chitarra acustica, in questo frangente persino epica!). E poi l’intensa "Stumble", altra vetta dell'opera, dove il solito falsetto, supportato da arpeggi elettrificati a regola d'arte, strappa nel finale brividacci lungo la schiena. Rimane il fatto che episodi come l'ipnotica "Come Down" (posta in penultima posizione) mettono a dura prova la pazienza dell'ascoltatore non avvezzo a sonorità così lagnose (perché alla lunga quella voce emblematica costituisce croce e delizia nell'arte di J Mascis).
Nell'anno dei non-capolavori, dunque, quel veterano di Mascis la spunta piazzandosi probabilmente sul podio delle migliori uscite del 2014.
Elenco e tracce
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Di Ociredef86
J è un ragazzone mai cresciuto del tutto, l’amico nerd che si fa amare da tutti.
Tra chitarra elettrica e folk acustico, Tied To A Star è quaranta minuti di rock semplice e onesto.