Seguendo una tradizione a dir poco particolare (e un tantino pagana), gli inglesi più "British" rispettano l'usanza di raccontarsi, la notte di Natale, storie di fantasmi. Si può comprendere, così, la particolare predisposizione al gotico dei popoli anglosassoni, o anche perché il signor Charles Dickens abbia scomodato ben tre spettri per intenerire il cuore di Mr Scrooge. E si capisce anche lo spunto iniziale da cui trae origine una delle opere più famose di Henry James, ovvero il breve romanzo "Il Giro di Vite", che comincia proprio con l'incontro di tre amici desiderosi di spaventarsi a vicenda con le loro storie. Un racconto che, nel 1961, il regista inglese Jack Clayton (qualcuno lo ricorderà per "Il Grande Gatsby") decide di portare sullo schermo, realizzando quello che in genere è considerato (insieme a "The Haunting" di R. Wise) il miglior film di fantasmi della storia del cinema.
La storia, di per sè, non è poi tanto complessa: un'istitutrice che viene incaricata di accudire Flora e Miles, i nipoti di un arido uomo d'affari londinese, assumendosene interamente la responsabilità, si ritrova in un'enorme ed inquietante casa di campagna con i due bambini, che ben presto mostrano i segni di essere ossessionati (se non addirittura posseduti) dagli spettri della precedente istitutrice e del servo personale dello zio, amanti in vita. Peccato che il testo di James contenga molto di più, trattandosi, infatti, di uno dei suoi primi esperimenti sulle tecniche narrative e un'acuta osservazione sull'importanza del punto di vista all'interno di un racconto, compreso un continuo giocare con la credibilità del narratore. L'importanza del film di Jack Clayton sta in buona parte proprio nella capacità di mantenere le ambiguità del romanzo, l'ombra del dubbio che viene proiettata su Miss Giddens (la protagonista), il continuo gioco di rimandi fra realtà ed interpretazione che alla fine dipende quasi esclusivamente dalle sue labbra. Se da una parte la carta stampata permette di rendere pienamente questi interrogativi, dall'altra parte renderli su celluloide rappresenta una sfida decisamente pericolosa (e difatti le altre due versioni cinematografiche dello stesso racconto, una del 1972, "Improvvisamente un uomo nella notte", l'altra del 1992 , "Presenze" con Patsy Kensit, falliscono anche miseramente). Una sfida che questo film vince grazie ad una serie di fattori curati con la massima attenzione. Innanzitutto un'ottima sceneggiatura alla quale partecipa anche Truman Capote, che affida alla bocca di Miss Giddens tutte le interpretazioni e le chiavi di lettura di ciò che sta succedendo: nessun altro personaggio, infatti, affermerà mai all'interno del film di aver visto spettri, o confermerà le teorie dell'istitutrice in merito al comportamento dei bambini. In secondo luogo, la straordinaria performance di un gruppo di attori in grandissima forma: i due bambini alternano innocenza e malizia con una spontaneità davvero convincente, disorientando lo spettatore che non saprà mai se giudicarli innocenti (appunto, come nel titolo del film) o effettivamente corrotti dalle presenze che sembrano infestare la casa. Deborah Kerr nel ruolo di Miss Giddens regala un'interpretazione che avrebbe meritato qualsiasi premio, riuscendo a passare con discrezione e senza mai andare sopra le righe dalla dolcezza alla severità, dalla serenità al terrore, togliendo o conferendo a comando credibilità al proprio personaggio, ora lucido ed analitico, ora ossessionato quasi fino al delirio, ma mai capace di nascondere la benché minima emozione (grande la scena in cui, con una domanda quantomai banale, Flora riesce a far esprimere a Miss Giddens, con la sua reazione imbarazzata, la segreta infatuazione per lo zio, suo datore di lavoro). Ma anche i comprimari non sono da meno, a partire da Megs Jenkins nel ruolo della governante, Miss Jessel, visibilmente imbarazzata davanti alle azioni dell'istitutrice, frastornata ed incapace di comprenderne le motivazioni.
Da ultimo, di certo non per importanza, il lavoro di Clayton alla regia e Freddie Francis alla fotografia. Il primo dirige con mano sicura, senza ricorrere ai soliti trucchetti del gotico (i sotterranei, le porte che cigolano, i sobbalzi improvvisi, trucchi mostruosi), ma rendendo inquietante ed angosciante anche dettagli assolutamente normali come una porta chiusa, la cordicella di una tenda, la decorazione di un mobile semplicemente inquadrandoli con un grandangolo, o con giochi di luce, o anche per semplice accostamento all'interno di una scena. Le apparizioni dei fantasmi non sono mai affidate a dissolvenze, né i fantasmi hanno in sè qualcosa di veramente spettrale: basta un passaggio improvviso di una figura, una sagoma su una torre, l'avvicinarsi di un volto dietro una finestra per raggelare il sangue (in questo anche il sonoro, usato ad arte, aiuta, escludendo i rumori, o selezionandoli ed amplificandoli in maniera esasperata). Alcune scene, poi, sono veramente da manuale, a partire da quella che ha ispirato a Kate Bush il brano "Infant Kiss" (e cioè, vedere come solo un'inquadratura possa trasformare completamente un semplice bacio della buonanotte), passando poi per le apparizioni sul lago (compresa la straordinaria entrata in scena di Flora, di cui inizialmente vediamo solo il riflesso nell'acqua) e l'intensissima sequenza finale con Miles e Miss Giddens. Francis fotografa il tutto in bianco e nero, smorzando il contrasto e accentuando il bianco, rendendo così le persone evanescenti quasi come spettri e la natura decisamente espressionista (si vedano gli alberi durante la scena della cavalcata di Miles).
Per chi cerca il proprio film per una notte di Natale "British", questo è in assoluto uno dei titoli più indicati (avendo l'accortezza di ricordare che il titolo della versione italiana è "Suspense"). L'unico problema? La mattina di Natale, al posto di canticchiare "Jingle Bells" o "Tu Scendi dalle Stelle", vi rimarrà in testa solo la malinconica ballata intonata da Flora...
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