Leggenda volle che la storia si svolgesse nel VII secolo a.C., quindi settecento anni prima che il Padreterno decidesse di mandare il Proprio Figlio in Terra per valutare più da vicino la situazione. Non sarà una buona idea. Non che gliela voglia tirare per carità. Lui sa e magari mi ha già perdonato.
L'attuale capitale era in conflitto con la cittadina di Albalonga per questioni atavico-territoriali. Per evitare l'ennesima guerra si preferì delegare tre fratelli gemelli per ogni città che si sarebbero sfidati a duello mediante spada. Famiglia Orazi per Roma e Famiglia Curiazi per Albalonga. Dopo una netta supremazia dei secondi, l'ultimo degli Orazi con un espediente tanto abbietto quanto scaltro, ossia fuga e infilzamento a sorpresa, avrà la meglio sui tre Curiazi costringendo Albalonga all'annessione in Roma.
Jacques-Louis David, artista neoclassico e, in seguito, pittore ufficiale di Napoleone, ispirato dall' "Horace", tragedia del drammaturgo francese Pierre Corneille, all'epoca molto in voga, decise di portare su tela un episodio che sarebbe risultato fondamentale per collegare il I al II atto della pièce. Il giuramento degli Orazi.
Per comprendere la struttura dell'opera, immaginiamo che David abbia imbastito la rappresentazione su tre palcoscenici immaginari, efficacemente distinti dai tre archi sul fondo. Premettendo che c'è poco spazio per sentimenti diversi dalla tragedia, leggendo da sinistra, sul primo palco, va in scena la colonna portante dell'intero scenario. I tre fratelli, tre "fasci di nervi", tre floridi arbusti con le radici ben impiantate nel terreno, veggasi gli alluci contratti del soldato più in fondo. Quel vigore che traspare dalla mano del soldato centrale che cinge ermeticamente il fianco del legionario più vicino all'occhio dello spettatore, quasi a voler espugnare con le dita la superficie metallica della fascia corazzata. E i peronei ben accentuati di quest'ultimo, il suo braccio sinistro che brandisce con decisione la lancia. Le braccia tese verso le spade come tre rami in crescita. L'estensione dei tricipiti è massima, quasi a voler toccare le lame, oltre ogni possibilità.
Sul palco centrale recita il padre. Vecchio tronco dalla corteccia ancora tenace nonostante il peso degli anni che sembra materializzarsi nella sua leggera flessione verso il basso, seppur volontariamente dettata dall'atto dell'evidenziazione delle spade. Sull'ultimo palco, quello di destra, la natura morta. Il complesso delle donne sofferenti, ridotto a massa cadente di drappi rilassati, così come i muscoli resi densi dalla totale mancanza di reazioni, se non quella, delicata, di portarsi per inerzia qualche dito verso il viso per sorreggere le lacrime sgorganti.
La scena è assolutamente illuminata, carica di colori caldi e brillanti, accesi, nonostante il contesto tragico, che si scontra furentemente con lo sfondo oscuro che si insinua nell'oltrepassare gli archi. Le quinte del teatro, buie, prive di anima, colori freddi a delinearne uno strano senso d'insicurezza. Ora siamo qui, ma, varcati gli archi? Torneremo?
Sul piano emozionale, David mostra, in un ambiente totalmente tragico, ben tre dimensioni sentimentali in evidente contrasto tra loro. Immaginiamo che il pathos sia regolato da una bilancia. Il piatto sinistro che sorregge i tre fratelli, mentre a livello strutturale è il più resistente, il più massiccio, quindi pesante, allo stadio emozionale quella solidità si dissolve. Quell'inconsapevole leggerezza che li spazzerà via. La fierezza dei soldati si concentra solo sulle spade, lo strumento della vittoria. Quegli occhi ardimentosi non guardano altro. Li rende vuoti, leggeri, quell'incoscienza che non vuole lasciare spazio alla realtà nel puntare con troppa sicurezza, ostentata padronanza, inattaccabile impavidità, quelle spade che li trafiggeranno.
Il baricentro, l'ago del misuratore è dettato ovviamente dal padre, con quella leggera flessione verso il retro, gli occhi volti verso il cielo che vorrebbero eliminare dal cono visivo quelle armi che presto si macchieranno della vita dei suoi figli. Il padre sa che difficilmente torneranno tutti a casa, infatti non osa guardarli nel tentativo di rimandare al più tardi quel dramma che sente già scritto dentro, come se volesse già ricordarli da vivi malgrado li abbia di fronte. E niente è più espressivo di quello sguardo sacrificato da uomo saggio, che malcela una vena di dolore, il presagio di un triste destino. Gli occhi spalancati e speranzosi ad invocare gli dei dell'Olimpo affinchè non flagellino con la morte l'esistenza dei giovani figli.
Inesorabilmente l'ago non può fare altro che tendere verso il piatto pieno, l'atmosfera pesante che si abbatte sulle donne. Che siano madri, sorelle o spose, sono imbevute del dolore più profondo, convinte della disfatta e rese esanimi dalle idee più funeste. Abbandonate alle lacrime, sembra che nessuna forza riesca a sollevarle, neanche lo sguardo forte, ma incredulo del bimbo ancora sotto protezione.
...hanno riportato a casa le loro spoglie nelle bandiere, legate strette perché sembrassero intere...
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