Il Corvo (The Crow) di James O'Barr (U.S.A.) 1981-1989. In Italia pubblicato tra l'Ottobre ed il Dicembre 1994 da General Press

Poche opere uniscono in se vicende parallele così eterogenee come la celebre graphic novel dell'americano O'Barr: romanzo espiatorio, rappresentazione di una subcultura ed infine (con un lustro di ritardo e complice una famosissima rivisitazione cinematografica) un fenomeno di massa che ha influenzato in modo pesante e paradossale (e vedremo poi perchè) un'intera decade, i '90 ovviamente.

Il Romanzo Espiatorio:

James O'Barr concepì "Il Corvo" in seguito ad un evento tragico: la morte, nel 1978, a causa di un camionista (mai rintracciato) della sua fidanzata e promessa sposa Bethany. Dopo un iniziale shock che lo portò in una spirale autodistruttiva per due lunghissimi anni, ad inizio '80, James decise che doveva trovare il modo di esorcizzare il dolore rendendolo pubblico ed il modo migliore era cimentarsi in quello che sapeva fare meglio: disegnare. La stesura della Graphic Novel fu lenta e travagliata e si trasformò in un viaggio catartico che durò quasi una decade e che alla fine produsse una delle più oscure e violente vicende, narrate a fumetti, di sempre.

Il mondo rappresentato nell'opera è oscuro, pessimista e senza speranza, solo la violenza pare essere il filo logico che unisce ogni vicenda umana: da un atto di violenza (il duplice assassinio del protagonista e della sua ragazza) la storia si dipana ed in un atto ferocemente violento (la resa dei conti finale), quasi da sfiorare l'insensato, ha la sua conclusione che non porta, comunque, pace e serenità ma solo la nuda consapevolezza di aver purificato nel sangue un desiderio di rivalsa destinato a rimanere mai completamente soddisfatto. Sarebbe facile cogliere la metafora di un O'Barr che critica la ricerca della vendetta (a tutti i costi) rappresentandola nel modo più crudo possibile ma in realtà (a differenza del film) questo non è lo scopo dell'autore, da ricercare, invece, nel voler dipingere un affresco dove il male non ha nessun senso logico (se non quello di autoalimentarsi) e dove la "cura" sta nel rispondere con le stesse devastanti lmeccaniche: solo in parte edulcorate dalla compassione che si deve ai solo ai morti.

"Eric: Sono l'errore del pilota, l'aborto inaspettato,il cromosoma impazzito... sono la completa e totale follia... sono la paura..."

Lievi flashback sulla dolcezza di un passato, ormai sepolto, non fungono mai da rifugio ma, anzi, proiettano ancor più protagonista e lettori in universo drammaticamente autoconclusivo, tratteggiato rigorosamente in bianco e nero, a volte sgranato a volte denso di particolari, dove O'Barr depone tutti i suoi incubi ed il suo lutto e l'unico conforto è quello di sapere di essere riuscito a raccontarli. 

Rappresentazione di una Subcultura:

Appare chiaro già dalle premesse che O'Barr prende a piene mani da un substrato culturale ben preciso che non è errato contornare nei limiti dell'esperienza Dark-Wave britannica a cavallo tra i '70 e gli '80 (certe tavole richiamano magicamente immaginari melodici alla Joy Division)  e a tutte le influenze precedenti a cui la stessa ha attinto (il Romanticismo Inglese ed il Simbolismo Francese ottocenteschi, l'Illuminismo etc. etc.). 

A dare ulteriore tipicità a questi riferimenti è la rappresentazione intima di un protagonista che va a buttar all'aria tutti gli stereotipi dell'eroe senza paura e senza macchia (la prima negata dallo stato di morte di Eric e dalla "lucida follia", passatemi la citazione "Shakesperiana, che ne consegue, la seconda dal fatto che ogni azione deriva dalla presenza di quel "peccato originale" che deve essere ricercato nell'incapacità dell'essere umano di proteggere le cose che si amano). Offendetemi pure ma se devo cercare parallelismi con altri fumetti l'unico che mi viene in mente è "Il Ritorno del Cavaliere Oscuro" di Miller.

A fare uno più uno siamo, penso, tutti capaci e quindi una volta delineati i contorni pare chiaro che l'immagine del "Modus Vivendi" Dark (la "bellezza" nel sentirsi sconfitti) appare più che nitida ed "Il Corvo" è antologia di tutte queste sensazioni e in un certo senso summa filosofica ad immagini.

Una summa filosofica che, tra l'altro, non fa nulla per nascondersi ma, anzi, esibisce orgogliosamente tutte le sue ferite rendendo eroico quello che nasce antieroico.

Fenomeno di Massa:

Tralascio tutte le questioni riguardo al film (posso solo dire che non mi è mai piaciuto), dalle modifiche di trama fino a quelle concettuali, che devono essere trattate in una recensione sulla trasposizione e non qui ma volevo solamente far notare (perchè è indubbio che il 99% delle persone hanno conosciuto il fumetto tramite le sale) che non sempre le cose brutte portano conseguenze negative (ho usato il termine paradossale sopra, ricordate?). L'opera di O'Barr si presta già di per se (per i tempi narrativi) ad una versione cinematografica: quello che non funzionò però fu l'accostamento, successivo al film, anche al fumetto del termine "Opera Maledetta" perchè "Il Corvo" di per se non lo è assolutamente. E' Romanzo NeoGotico forse, Feuilletton Orrorifico pure ma l'intenzione dell'autore non era quello di porre in essere una storia "maledetta" ma solo quello di rappresentare un mondo nichilista e squallido: c'e' differenza tra l'esser qualcosa ed il voler esserne allegoria, vero?

Il fatto è, che per fortuna, il pubblico non è poi così scemo (almeno quello a cui O'Barr parla in prima persona) e passata la buriana di tutte le stratificazioni sembra essere rimasto il concetto e non il suo contorno artificioso e, quindi, se bisognava ricorrere ad Hollywood per far conoscere quest'importante esempio di letteratura ad immagini valeva, forse, la pena di turarsi il naso.

L'importante è che alla domanda "Il Corvo Icona degli Anni '90?" rispondiate "No" (sia temporalmente che filosoficamente).

E sapete quanto io ami quella decade...

Conclusioni:

Non ho fatto molti accenni sulla trama perchè penso sia conosciutissima e perchè credo che in una recensione possa anche essere omessa a beneficio di chi (il sottoscritto per esempio) preferisce godersela senza saper troppo ma volevo finire questo mio piccolo scritto con una riflessione assolutamente personale sulla stessa: non sempre noi siamo padroni del nostro destino ma spesso siamo figli di quello, che nostro malgrado ci viene imposto, la differenza tra azione e cieca reazione e' quella che passa tra un essere "vivo" ed uno "morto". Qui la seconda è lasciata, appunto, ad un morto.

 

C.G. (Girlanachronism)

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