Tredici anni fa a Jay Kay, colui che incarna l’anima dei Jamiroquai, la Sony offrì un contratto straordinario, praticamente senza precedenti, in cui si garantiva all’allora macilento ragazzo di Stretford che si aggirava con un cappello di pelle di bufalo negli ambienti dell’acid jazz revolution, la produzione di ben otto album. La Sony non avrebbe potuto fare scelta migliore.

I Jamiroquai (Jam, da jamsession, improvvisazione musicale, e iroquai, dalla tribù indiana degli Irochesi) in questi anni hanno venduto più di venti milioni di album e garantito con la permanenza di circa 150 settimane nelle classifiche inglesi alti introiti per la major giapponese. Molto per il giovane è cambiato dagli esordi; Travelling Without Moving lo ha consacrato star internazionale e i suoi concerti sono quasi sempre eventi da non perdere tanto da affibbiare al suo gruppo l’etichetta di live act di grande impatto.
Travelling Without Moving parlava del delicato tema della bioingegneria. Virtual Insanity, il singolo vincitore di un Grammy inserito nell’album, parlava dei pericoli della clonazione.

Ora dopo quattro anni dall’ultimo A Funk Odyssey i Jamiroquai sono tornati il 20 giugno con un nuovo album dal titolo Dynamite.
Se dovessimo paragonare quest’ultimo lavoro a quello degli esordi (Emergency On Planet Earth), difficilmente diremmo che si tratta della stessa formazione. Pur lasciando immutata la vena polemica nei confronti di tutto ciò che inquina e danneggia il mondo (biogenetica, colonialismo americano) il loro sound sempre apprezzato per una irrinunciabile dose di freschezza e di atmosfere a tratti spensierate e a tratti intimiste, sembra essersi adagiato definitivamente sulle piste da ballo, con un funky dalle radici che sembrano risalire alla disco di trenta anni fa, ma che corre il rischio di appiattirsi in un suono standard e a tratti ripetitivo.
Impeccabili gli arrangiamenti, anch’essi quasi tutti ispirati alla disco anni ’70, con accenni jazzistici che possiamo ammirare soprattutto nel brano Talullah.
Feels Just Like It Should, il brano di apertura, è di quelli che scuotono il corpo e incoraggiano a ballare.
Dynamite, la title track, è il primo vero accenno alla disco sofisticata dell’album, che si confermerà nel prosieguo dell’ascolto come la linea generale dell’album, se non la nuova strada intrapresa dal gruppo.
World He Wants è in linea con la produzione politicamente impegnata dei Jamiroquai, e riflette sulla direzione intrapresa dal cosiddetto mondo libero. Starchild analizza lo stato mentale di un mondo in cui i predicatori televisivi rappresentano i guardiani della morale.

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