Sgombriamo subito il campo, anche e soprattutto quello di gioco, dalla retorica: il calcio, quella roba lì di televisioni e trasmissioni e sponsor e quotidiani sportivi (sportivi? ma dai...) di uomini e ominicchi ricchi e ricchissimi e di idioti, spesso poverissimi, che li idolatrano, quello che è, di fatto, il calcio oggi, non consente a nessuno dotato di una dose minima di pudore (ahimè non più comune, come l'infausto senso che fu) le improbabili e leggiadre immagini che taluni giornalisti sportivi (giornalisti? ma dai...) si sentono in dovere di spargere nell'etere o sulla carta. Il Capitano onesto e indomito che attraversa la storia e taglia il traguardo di fine carriera senza macchia, simbolo della naturale purezza dello sport, lo lasciamo a loro.

Certo, chi lo ho osservato nel corso degli anni sa che quelle cose sono probabilmente vere, e incredibilmente autentiche, perché anche il suo modo di giocare (e il rispetto tributatogli da tutti gli avversari) pare aver testimoniato la natura dell'uomo. E poi la corsa leggendaria e l'allenamento, il giorno stesso delle nozze, abbandonati sposa e invitati, per non interrompere l'inflessibile disciplina della preparazione atletica, dovrebbero testimoniare di una dedizione ed una professionalità esemplari, piuttosto che la forma di una preoccupante ossessione.

Come se queste anomalie non fossero sufficienti a insospettirci, si aggiunge il lato "umanitario" del personaggio. E qui la retorica, che cercavamo ingenuamente, di tenere a bada, rompe gli argini e dilaga. Ma restiamo un po' basiti scoprendo che la sua Fondazione non è farlocca e impresentabile, come ormai d'uso: il Capitano e i suoi le cose le fanno davvero, e anche bene, stando a quanto mi raccontano diversi argentini (alcuni, inspiegabilmente, juventini!)

Ti aspetti che l'hobby segreto di un tizio simile, per bilanciare l'insostenibile pesantezza della virtù, sia perlomeno la violenza domestica sui propri ed altrui figli e qualche occasionale omicidio seriale (dovendo, lo immagini spruzzato di sangue, un Pollock rouge, sorridere a tutta dentatura, impeccabilmente pettinato: Dexter, in pratica, e ti piacerebbe pure). Pare che no, non risulta dalle indagini in corso alcun elemento, anche di semplice carattere indiziario, che consenta di formulare ipotesi accusatorie del genere.

Insomma, un argentino, arrivato vent'anni fa in Italia (come contorno dell'ennesimo, ma certo non ultimo, incauto acquisto dell'Inter, tale Sebastian Rambert) per giocare a calcio, che ha giocato a calcio, e lo ha fatto al meglio delle sue possibilità, come è giusto che sia se sei un calciatore. Allenandosi regolarmente e offrendo il massimo delle sue potenzialità atletiche e tecniche in cambio di lauta ricompensa. Un argentino che ha capito, suppongo, quanto sia raro ottenere, facendo bene una cosa che ti piace fare, una tanto lauta ricompensa e ha agito di conseguenza, gestendo la propria carriera con cura e spendendo parte (una piccola parte) di tanta fortuna e "visibilità" (scusate il termine, son stanco, cedo alla volgarità) per qualcuno che non ne avrà. Fin qui una persona per bene, un uomo come si deve. Un buon giocatore, anche, mi sento di dire, a tratti un ottimo giocatore, ma non certo un fuoriclasse o un fenomeno. Il suo stesso soprannome, il Trattore, sembra volersi adeguare a quest'epica della normalità, del lavoro, della caparbia concretezza.

E allora perché? Perché un uomo così "normale", così lontano dallo stereotipo di ogni altro idolo in braghette, così inservibile alla causa dell'eterno gossip pallonaro, così pettinato!!! è diventato il CAPITANO ? Perché abbiamo dovuto assistere a quella patetica cerimonia, anche un po' dimessa e mal gestita (televisivamente,) del ritiro della maglia numero 4, per sempre e 4 ever, che nessuno potrà più indossare perché consegnata alla storia? E' dunque vero, i "sani valori dello sport" alla fine pagano sempre, hanno la meglio nonostante tutto, nonostante il calcio? No, non ditemi così, non possiamo crederci davvero...

Un'idea ce l'ho, e credo abbia qualche fondamento. La grandezza del Capitano, la sua più impensabile e incredibile conquista, è stata aver indossato e onorato per 20 anni quella maglia e, su quella maglia, quella fascia, essendo l'esemplare umano più antitetico e meno assimilabile a una squadra come l'Inter. Che non è pazza per eccesso di retorica, ma per acido desossiribonucleico. Che non può essere altra che così, ostinatamente votata alla dissipazione, allo spreco, all'approssimazione, al tentativo disperato e alla negligenza, all'improvvisazione e alla mancanza di equilibrio. L'esatto opposto di quell'argentino, arrivato in Italia vent'anni fa, per giocare a calcio nella squadra sbagliata.

La maglia numero 4 non è altro che un equivoco divenuto icona, un formidabile paradosso. E il tempo, che non ha altro da fare, renderà sempre più palese la natura paradossale di questa indissolubile unione, perché non c'è alcuna possibilità (e un interista lo sa) che un giorno, alla Terrazza Martini o da qualche studio televisivo di Giacarta, venga presentato al pubblico un normalissimo alieno disposto a offrire tutta la sua impossibile, inimitabile normalità a quel che resta di una pazza squadra qualunque.


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