L'Atalante è un barcone da carico che scorre in lungo e in largo sui canali della Francia anni 30.

Jean è il capitano della barca, uomo semplice, passionale e istintivo, papà Jules è il suo secondo, marinaio anziano ed esperto segnato da una vita miserabile che lo ha preso a schiaffi e a cui ha imparato a ridere in faccia giocando alle sue spalle, il mozzo è un giovane ragazzo noncurante dei fatti dell'esistenza, un'adolescente volenteroso pieno di speranze ed illusioni.

Il film inizia con il matrimonio tra Jean e l'angelica Juliette, vitale e incantevole donna con gli occhi ancora vergini alle bellezze terrene ed il conseguente imbarco dei quattro sulla navetta.

L'Atalante diventa così una moderna arca carica dei maggiori stati esistenziali del percorso umano verso la morte: l'essere uomo, l'essere donna, l'essere giovani e l'essere vecchi.

Ma non voglio fourviarvi ed avvilirvi, Vigo non vuole parlarci della fine di tutto, il regista morente (perirà di tubercolosi poco dopo la fine delle riprese appena ventinovenne) vuole parlarci d'amore, l'amore per la vita e per il prossimo, lo fa con la forza e la malinconia che solo chi se ne sta andando per sempre può produrre, lo fa con l'anima e con il cuore in mano e camera in spalla stampa su pellicola poesia allo stato puro.

I due novelli sposini percorrono così di pari passo alla loro imbarcazione tutte le fasi del perfetto travaglio amoroso: la passione iniziale, il gioco, la mancanza di libertà, la gelosia, la dolorosa separazione ed il felice ricongiungimento.

Tutto questo sotto lo sguardo curioso e meravigliato di un ragazzino e l'occhio apparentemente distratto e superficiale ma sempre vigile e comprensivo di papà Jules che allieta il cammino di questa strana famigliola facendo danzare marionette e vibrare una fisarmonica (dolcissima sulle note di "Parlami d'amore Mariù") e che alla fine aiuterà l'amore a compiere il suo corso e trionfare. 

L'Atalante non è però solo un veicolo di buoni sentimenti, è anche un rifugio, la tana di un uomo (Jean) che diffida e teme il mondo in cui vive, che fa a botte con esso e rinchiude tutto ciò che di bello la vita gli ha regalato sottocoperta rischiando di deperirlo. 

Vigo crea dal suo profondo un'opera che travalica il concetto stesso di film, avrebbe potuto fare un disco o dipingere un quadro e la sua urgenza espressiva sarebbe arrivata comunque ai nostri cuori.

D'altronde la bellezza visiva delle scene che si susseguono potrebbero farci credere di essere ad una mostra d'arte: le marionette, l'allucinazione subacquea, la corsa sulla spiaggia, i personaggi che diventano fantasmi nella nebbia, Jean che avanza sorridente a gattoni verso la sua sposa, il riflesso nella vetrina di una donna incantata, il delirio notturno dei due amanti... sono tutti elementi che conferiscono a questa grandissima opera d'arte una tenerissima leggerezza e una limpidissima semplicità.

L'Atalante ha ormai 80 anni, una vita, ed è oggi molto più potente di allora, nell'epoca delle veline, dei calciatori telebenefattori, dei presentatori e degli uomini d'affari impacchettati in abiti su misura, di Berlusconi, del compralamacchinapiùpotente, dello scavalapiscinapiùgrande, questo film è un invito a tutti noi a ritrovare i veri piaceri della vita, il vero significato dell' esistenza, da una gatta che partorisce su un letto nuziale ad un vecchio e un bambino che gioiscono dopo aver riportato in vita un grammofono, un consiglio a non guardare il mondo scorrere lungo i bordi ma di entrare a far parte di esso insieme con il nostro carico di amori e illusioni.

Caro Jean, aspettami lì dove sei ora, vivrò la mia vita più intensamente possibile per potertela raccontare seduto accanto a te su di una nuvola passeggera.

Parlami d' amore Mariuuuù........tutta la mia vita sei tuuuu........

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