Quando nomino Jeff Buckley, spessissimo il mio interlocutore mi guarda con occhi interrogativi... Le poche persone che conoscono questo grande artista del pop rock lo associano al suo più grande successo, "Grace", in cui possiamo ascoltare canzoni dalla dolcezza che pochi dimostrano.

Ascoltando quel disco, infatti, ho capito subito che la complessità di questo artista è notevole: una voce armoniosa con cui si diletta nei più angelici vocalizzi e soprattutto una poliedricità nel tessere note con qualsiasi tipo di chitarra, che mi ha colpito molto, al punto che mi sono chiesto perchè Jeff non sia tra i grandi della storia della musica.

Ho trovato risposta con alcune ricerche, con cui ho scoperto della sua orribile morte, e della vita complicata e intricata in mille problemi. Dopo aver riascoltato "Grace" numerose volte sono arrivato alla conclusione che Jeff Buckley vivrà per sempre in quelle persone che non ascoltano solo con le orecchie, ma con il cuore; spero che siate d'accordo con me quando sostengo che sia migliore di tutti quei gruppi di ragazzini stonati che odiano il mondo, di tutti quei cantanti che sarebbero disposti a qualunque cosa per apparire in televisione.
Tuttavia capii che era davvero il migliore di tutti quando ascoltai il concerto che tenne a Berkeley, nel fiore della sua giovinezza, in cui ancora non aveva completato "Grace". Il concerto si apre con un piccolo discorso in cui introduce le canzoni che stà per cantare, e si scusa con il pubblico per il mal di gola, che lo ha accompagnato in tutto il concerto senza intaccarne minimamente la prestazione.

La canzone di apertura è "Last Goodbye", quella che ha introdotto tutti i suoi concerti, in cui si palesa la sua massima espressione da chitarrista estroso, impeccabile nell'esecuzione, pretenzioso negli accordi forse un po' troppo complicati, ma che rendono il brano privo di difetti, dal punto di vista melodico. Il testo, a differenza dell'andamento della melodia, come da titolo, è l'ultimo addio che Jeff rivolge alla sua amata: sa che l'amore tra loro è ormai morto ma non dimenticherà mai il tempo trascorso con lei. Già da questa prima canzone il pubblicò inizia ad apprezzare le doti di chitarrista di Jeff. Prima del secondo brano Jeff esegue una parodia della colonna sonora di 'mission impossible', e scambia qualche parola col pubblico, dimostrando a tutti di essere un artista umile e carismatico. Tra le risate del pubblico e gli applausi non proprio scroscianti inizia la seconda canzone: "Lover you should have come over". In questa canzone, che si apre con i dolci vocalizzi di Jeff, si intrecciano le note di due chitarre acustiche e la sua melodiosa voce, che, senza troppe pretese stilistiche si rivelano una combinazione di tristezza e tranquillità. Trovo veramente molto difficile descrivere questa canzone; ogni volta che la sento provo una strana emozione, troppo profonda per essere espressa da qualsiasi parola.

La terza canzone racconta un sogno, che per Jeff è come realtà, e forse è veramente così. "So Real" unisce note decisamente gravi e tenebrose a vocalizzi così acuti da donare al brano una strana magneticità: infatti, una volta che sentii l'inizio non sono riuscito a distrarmi fino alla fine dell'esecuzione. Ogni canzone di Jeff rasenta la perfezione melodica, spesso la raggiunge, a volte se ne allontana, ma non si rivela mai troppo semplice da capire. Ogni singolo brano è associato ad uno stato d'animo dell'artista, che riesce ad emozionare con diverse combinazioni di accordi e arpeggi. A questa segue "Mojo Pin", una canzone che alterna momenti caotici e prettamente rock ad un clima di serenità e pace. Il concerto si chiude con "Grace", all'epoca canzone appena composta e poco conosciuta. Già dall'inizio impetuoso, in cui le due chitarre tessono una cascata di note, si denota il ritmo dell'intera canzone: veloce, rapido, sfuggente. Anche la voce di Jeff segue questo affannoso ritmo, decisamente diverso da ogni altro suo brano. "Grace" è una canzone che richiede forse una capacità di arpeggiare su diversi accordi che pochi chitarristi possono vantarsi di saper eseguire, e l'unica voce possibile che la può accompagnare è prorpio quella di Jeff.

Il concerto si conclude con scroscianti applausi e qualche parola di Jeff, che presenta i musicisti, Michael Tighe, Mick Grondahl e Matt Johnson, anche loro impeccabili nell'esecuzione e ottimi accompagnatori della sua angelica voce. Il mio parere generale sul concerto: Jeff Buckley è un musicista polivalente, il cui estro creativo ed esecutivo sfida e supera senza troppe difficoltà i limiti degli altri artisti; egli spinge la sua voce verso tonalità difficilmente raggiungibili, senza perdere la concentrazione nell'arpeggio; le note che la accompagnano sono suonate con la massima cura. Solo chi lo ha acoltato più di una volta riesce a descrivere le sue canzoni, perchè non sono nè superificali nè assolutamente commerciali. La sua musica non proviene nè dalla chitarra, nè dalle corde vocali, la sua musica proviene dal cuore.

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