Maledetti i soldi. Maledetti i soldi e maledetta l’eroina.

Maledetti i soldi, soprattutto da quando sono diventati la misura di tutto: più costa più è bello, più costa più è buono, più costa più è performante. Per non parlare di come il denaro incida nella valutazione delle persone, basti ricordare l’adagio “Un cretino povero è un cretino, un cretino ricco è un ricco”.

Maledetta l’eroina, che s’è mangiata in un sol boccone i sogni e gli uomini dell’illusione del ‘68. Che poi, come facesse uno col vizio degli oppiacei (la tesi ufficiale sulla causa della morte di Hendrix parla di barbiturici) ad essere così attivo per me rimane un mistero. Non si contano le jam, i concerti, i festival raccolti in miriadi di registrazioni, ufficiali e pirata, il tutto in meno di un lustro!

James Marshall “Jimi” Hendrix, all'anagrafe Johnny Allen Hendrix era un tipo irrequieto, mai soddisfatto. Una volta sentii raccontare da Ron Wood, con il quale condivideva una casa a Londra nel suo primo soggiorno londinese, di quando seduti uno di fronte all’altro chiacchieravano di musica e di come Jimi si lamentasse della propria voce e delle modeste capacità di scrittura. Il tutto mentre nel frattempo si girava la chitarra da una mano all’altra improvvisando scale di blues, così per passatempo!

Secondo il metro di giudizio della mia prima maledizione “The Cry Of Love” ha 1/6 delle meraviglie contenute in “Axis: Bold As Love”, (provate a vedere cosa costa una prima stampa NM di entrambi i vinili) ma siamo sicuri sia così? O forse è solo perché è un album postumo, il primo – ahinoi – di una lunga serie che, in effetti, ha visto dare alle stampe qualsiasi cosa sia stata registrata dal mitico chitarrista. Qualcuno lo ha definito il più bell'album postumo di sempre. Alle mie orecchie suona come quando i continentali più gretti mi dicono, pensando sia un complimento, “ma lo sa che lei non sembra siciliano?” Io sono superbamente siciliano e “The Cry Of Love” è un grande album, punto (esclamativo)!

Innanzitutto è bene chiarire che, nel caso dei brani del recensito e degli altri contenuti nei due lavori stampati nel 1971 e 1972, “Rainbow Bridge” e “War Heroes”, Hendrix era in studio di registrazione e stava lavorando ad un nuovo album, probabilmente doppio. Il fatto che Hendrix fosse, oltre ad un eterno insoddisfatto, un maniaco del lavoro in studio ha fatto si che il pensiero dominante sull’album di “Angel” sia quello che lo relega ad un lavoro incompleto cui l’onesta produzione di Eddie Kramer e Mitch Mitchell non è riuscita nell’intento di rendere quanto Jimi aveva in mente di fare al banco degli Electric Ladyland Studios. A maggior ragione considerato che raccoglie la maggior parte dei brani completati, o quasi, prima della sua morte. Già, ma cosa aveva in mente Jimi quando stava lavorando a un quarto album di cui, addirittura, possiamo solo ipotizzare il contenuto dato che due album non sono bastati a contenerne tutte le tracce? Nemmeno la Experience Hendrix, l'azienda di famiglia che assunse la gestione della sua eredità discografica, può sapere come sarebbero potute andare le cose, nonostante nel 1997 pubblicò “First Rays of the New Rising Sun” riempendo di altre sovraincisioni buona parte di quanto già pubblicato nei primi tre postumi. Piuttosto, quello che abbiamo qui è probabilmente la cosa più vicina all'album (o a parte di esso) come sarebbe stato pubblicato se Jimi fosse stato ancora vivo.

Certo nel 1970 il chitarrista sembrava confuso sulla strada da percorrere e per la prima volta prendeva tempo, rimandando il momento di iniziare le registrazioni definitive. Tra il ’68 e il ’69 Hendrix era alla ricerca di una svolta. Da tempo sognava di suonare assieme a una sezione di fiati, o su uno sfondo orchestrale: voleva far viaggiare la chitarra elettrica su una trama sonora più ricca e più importante, vagheggiava la dimensione del “concerto” per chitarra e orchestra. Quindi, il fatto che “The Cry of Love” sia un lavoro levigato, poco abrasivo e “troppo elaborato”, con un sacco di chitarre e stratificazioni folli – cosa che per inciso è sempre stata presente in Hendrix, più propenso a lavorare sul mixer che sulla scrittura - forse è il frutto di quella ricerca, di come stesse mutando l'umore della sua musica, sempre meno selvaggia e sempre più soffertamente meditata.

Alcuni dei brani presenti, come “Angel” ed “Ezy Rider”, sono diventati pezzi noti del repertorio di Hendrix, ma si affiancano a gemme meno note come “Night Bird Flying”, “Drifting” o la dylaniana “My Friend”. O “Straight Ahead”, un brano che sarebbe potuto diventare qualcosa di veramente grandioso ma che, a mio avviso, aveva bisogno di più lavoro (o di meno lavoro in fase di produzione …) per essere un grande pezzo, anche perché ha uno dei testi più azzeccati: “Devi dire la verità ai bambini/Non hanno bisogno di tante bugie/Perché un giorno o l'altro, tesoro, saranno loro a comandare/Quindi quando dai loro amore/Meglio che tu glielo dia nel modo giusto”. Ecco, forse il modo giusto per approcciare questo album sono le prime strofe di questa traccia “Hello my friends/So happy to see you again …”. Felici di stare con Jimi ancora un po’ perché con lui morì, per overdose di utopia, la generazione della contestazione e nulla poté più fermare il consenso totale al Dio denaro, divenuto misura di tutto.

P.S. la mia stampa vintage (Reissue Japan 1979 NM) ha quel suono che è scomparso e non può tornare. Se amate ascoltare “dentro” una registrazione, poter “vedere” i musicisti e sentirvi come se foste seduti in studio con la band, questo è il disco che fa per voi. È ciò per cui sono note tutte le registrazioni analogiche vintage: questo suono!

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