Premessa

Quella che segue non ha la pretesa di essere una recensione e quindi, data la lunghezza, mi pare doveroso fornire almeno una indicazione a coloro che non avranno il tempo o la voglia di proseguire la lettura. Ebbene, le 6 Suites per violoncello solo di Bach sono un vero e proprio patrimonio musicale dell’umanità. In questa o altre interpretazioni, meritano dunque almeno un ascolto, chiunque e comunque voi siate. Detto questo, cercherò di narrare le singolari coincidenze che mi legano a questo disco, con la speranza che mi consentano un doppio risultato: aggirare l’ostacolo, di dimensioni titaniche, rappresentato dal tentativo di recensire un’opera simile e, al contempo, destare almeno un poco di curiosità tra coloro che ancora non la conoscono. Va detto che la mia frequentazione con i capolavori della musica "classica" è sempre stata saltuaria, occasionale, tutt’altro che interna ad un percorso ragionato. Sono, insomma, un discreto ignorante, ma piuttosto curioso e disposto alla scoperta. Ma veniamo a noi.

Da Darkwood a Bach 

Era un po’ di tempo che la cosa si ripeteva: ogni volta che la voce di un violoncello faceva la sua apparizione catturava la mia attenzione. Anche se stavo prestando un ascolto distratto ad un disco, alla radio, o osservando lo schermo nel buio d’un cinema, appena compariva, quel suono arrivava diritto al centro del mio ascolto.Quel suono bastava a se stesso: ed era il mio suono, probabilmente.
In quel periodo mi capitò di ascoltare un disco, uno dei felici incontri con il catalogo dell’ECM. Il disco in questione, Darkwood di David Darling, è un album per violoncello solo, scuro e affascinante, che anziché spegnerla, accrebbe la mia sete. Quella sete che avrebbe trovato la propria strada verso l’unica fonte capace di placarla. Quel che segue è il racconto di come, attraverso singolari coincidenze, l’incontro ebbe luogo.

Coincidenze

La prima coincidenza consiste nell’incontro con una pianista. La conobbi proprio mentre stavo sprofondando in questa crescente passione per il violoncello, ulteriormente nutrita dall’ascolto di Darkwood. A lei, che si stupì di un’immersione così accanita in quel disco, chiesi dove avrei potuto gustare l’essenza di quel che pareva essere il mio nettare."Devi assolutamente ascoltare le Suites per violoncello solo di Bach" rispose "Esistono molte preziose interpretazioni di quest’opera. Ma se è il suono che cerchi, devi ascoltare Mischa Maisky…". Si, era il suono di quello strumento che volevo. Non ero (e non sono) in grado di esprimere valutazioni tecniche e critiche. Avevo bisogno del suono.
Il giorno stesso me ne feci dono e il doppio cd, inciso nel 1985 per la Deutsche Grammophon dal musicista russo, iniziò a impossessarsi di me. Sì, letteralmente una possessione. E’ il caso forse soltanto d’aggiungere che ero, all’epoca, nella condizione di assecondarla, non essendomi precluso l’ascolto neppure durante l’attività quotidiana. Portavo il disco con me e, appena possibile, gli consentivo di esercitare la sua magia: assorbii ogni particella di quella sterminata creatura, e altrettanto lei fece con me.

Le sei suites, composte da Bach nei primi anni del XVIII secolo (si ritiene attendibile la data del 1723) con l’intento di approfondire e sviluppare le possibilità tecniche dello strumento, rappresentano un banco di prova sia per le doti tecniche che per la capacità di concentrazione degli esecutori, risultando la più significativa opera per violoncello solo mai concepita. Con la quale si sono cimentati tutti i più grandi virtuosi, da Casals a Fournier, da Rostropovich sino alle splendide esecuzioni di Yo Yo Ma. Nell’esecuzione di Mischa Maisky, (uno dei più noti violoncellisti al mondo, allievo di Rostropovich) personaggio anomalo ed eccentrico capace di provocare radicali e nette divisioni in pubblico e critica, il consueto canone interpretativo, considerato filologicamente corretto, lascia il posto ad un approccio che privilegia la ricerca delle possibilità della struttura e del suono, sin dentro ogni singolo frammento ritmico e melodico, anche concedendosi accelerazioni e "raddoppi" di velocità considerati, da alcuni, arbitrari ed irrispettosi. Per le mie orecchie profane, però, fu un’assoluta delizia: un suono ricco, profondo, capace di una vorticosa gamma di colori, di abissi ed ascese, agile e poderoso al tempo stesso. Ebbi la sensazione di aver a che fare con un esecutore che era, in realtà un esploratore del suono. Ed era quel che volevo.

Trascorsero forse un paio di settimane, tutte in full immersion, ed una seconda coincidenza si presentò, questa volta dalle pagine d’un quotidiano: quella sera, all’auditorium della mia città, con l’orchestra che eseguiva un repertorio comprendente anche una delle suites di Bach, era ospite, in qualità di solista, Mischa Maisky. Pareva un piccolo dono del fato: appena fatta la conoscenza con le Suites di Bach e con quel doppio cd, avevo l’occasione di ascoltarne l’interprete dal vivo. Tralasciai le consuete faccende per le quali m’attardavo sin oltre la chiusura e me ne andai verso la fermata del tram. Quel giorno non ero andato al lavoro in auto, preferendo per una volta e senza nessun particolare motivo, i mezzi pubblici: cosa praticamente rarissima e che costituì una ulteriore coincidenza.

Perché sul 18, piuttosto vuoto, data l’ora, fu impossibile non notare l’uomo vestito di scuro, appoggiato alla voluminosa custodia, che pareva davvero troppo simile a quello ritratto sulla copertina del doppio cd che avevo con me. Sì, il maestro era sul tram con me, e s’era accorto del mio sguardo. Attesi sin quasi l’ultima fermata e poi vinsi gli indugi: "Mr. Maisky, sono un suo recentissimo ammiratore e vorrei ringraziarla per aver inciso questo disco." Il mio inglese è una specie di idea dell’inglese, una costruzione fantastica, un buffo linguaggio che può sembrare inglese. Non so cos’abbia capito, il Mischa. Ma quando fummo nei pressi dell’ingresso e congedatomi da lui mi diressi verso la cassa, mi bloccò, dicendomi che non dovevo pagare un biglietto per ascoltarlo, e che era onorato di poter eseguire Bach per un ascoltatore così entusiasta. Fatto un cenno agli ossequiosi inservienti, mi invitò a seguirlo.

Prima del concerto restammo a conversare per un po’, anche e soprattutto riguardo questa incisione delle Suites. Mi disse che si sarebbe ancora misurato con esse, che nel corso degli anni sentiva d’aver maturato una nuova sensibilità, un approccio ancor più vicino allo spirito dell’autore, che egli venerava. Fui testimone della deferenza che lo circondava, del rispetto autentico degli orchestrali nei suoi confronti, e, mentre nel camerino osservavo lo splendore del violoncello (un Montagnana del XVIII secolo, donatogli da alcuni facoltosi ammiratori) della devozione con la quale una elegante signora, accompagnata dai figli piccoli, porgeva un mazzo di fiori al musicista. Maisky mi rivelò che lo seguiva, in ogni data italiana, e spesso all’estero, da anni. Ricordo un ottimo concerto, ed alcuni momenti quasi perfetti, tra i quali la suite per violoncello, che mi parve ancor più "libera" di quella che avevo praticamente divorato in quel periodo.

Dopo il concerto cenammo in un piccolo locale che conoscevo, accanto al suo albergo. Qui, complice il vino, superammo le difficoltà costituite dal mio pessimo inglese e la conversazione si allargò. Mi stupì scoprire che in alcuni paesi, particolarmente in oriente, ad esempio in Giappone ma soprattutto in Corea, era oggetto di un culto pari a quello di una rockstar, con tanto di assalto di fans, urla e appostamenti di ammiratori d’ogni età, costanti sold-out e repliche fuori programma. L’agenda dei suoi impegni concertistici era già praticamente colma sino al 2002, (ed era il 1997) e tra questi uno consisteva in due serate nella mia città per l’esecuzione integrale delle Suites.
Giunti al termine della serata, a notte inoltrata, ci congedammo, un po’ brilli, al termine di un ultimo scambio di battute a proposito della "correttezza" filologica con la cortese promessa da parte del maestro di farsi vivo in occasione dell’esecuzione del capolavoro di Bach.

Al cospetto del suono

Forse ancora più dell’inaspettato incontro sul tram mi sorprese ricevere, credo un anno più tardi, la sua telefonata che invitava me e la mia signora ad assistere, in prima fila, all’esecuzione delle sei suites per violoncello solo.
Lo accompagnammo in teatro. Ricordo che sistemammo insieme, con strumenti di fortuna, la pedana sulla quale avrebbe dovuto esibirsi, che durante le prove scricchiolava e cigolava sollecitata dai suoi movimenti imprevedibili, a tratti quasi coprendo il suono del violoncello. Nessuno, tra i troppi addetti, aveva neppure pensato di metterci mano. Poi, preso posto, aspettammo l’inizio della magia.
E in quelle due sere, complice un Maisky davvero strepitoso, vidi il Suono. Il suo rapporto con lo strumento, apparentemente viscerale ed istrionico nella gestualità, è in realtà dettato dal bisogno di ottenere dalla propria splendida cavata, ogni pur minima possibilità, ogni sorprendente soluzione.
Al termine della seconda serata restammo quasi storditi, in uno stato di beatitudine. Che ci accompagnò anche mentre, salutando il maestro, rifiutammo, con tutto il tatto possibile, l’invito a cena con il nugolo d’autorità cittadine, assessori alla cultura e presenzialisti assortiti, che in breve lo avvolse, fagocitandolo.
Ho ascoltato altre incisioni, probabilmente più corrette, meno "anarchiche", forse più belle. Lo stesso Maisky ha nuovamente inciso una versione delle Suites, nel 2000. Ma non sarà difficile comprendere il motivo per il quale questa resta la mia favorita. E il 18 la linea tranviaria cittadina che prediligo.

Nel terminare questa logorroica narrazione, ritengo doveroso porgere le mie scuse, nell’ordine, a te, gentile lettore, a J.S. Bach e a M. Maisky. E mi permetto un ultimo consiglio, nel caso tu, stoicamente, sia giunto sin qui: se ne hai occasione fatti un regalo, inserisci il cd, chiudi fuori il mondo, alza il volume. E che il suono sia con te.

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