L'uomo cittadino, cosiddetto "civilizzato", appartiene ancora alla natura, o meglio, ne fa ancora parte? Abituato ormai a confrontarsi con le bollette da pagare e a combattere con il traffico può ancora illudersi di trascorrere impunemente un fine settimana tra i selvaggi boschi degli Appalachi invece di andare a giocare a golf o a tennis ?

John Boorman è un regista inglese che in patria aveva diretto un film leggero leggero sul gruppo surf Dave Clark Five in piena epoca beatlesiana, ma i film successivi girati ad Hollywood ("Senza un attimo di tregua", "Duello nel Pacifico") ne fanno intuire le enormi potenzialità drammatiche. Nel 1972 adatta un racconto di James Dickey, "Deliverance" (in italiano ignobilmente tradotto in "Un tranquillo weekend di paura"), e riesce a trarne un film tagliente come una lama di rasoio.

Con una professionalità impeccabile sceglie quattro attori per altrettanti personaggi con caratteri profondamente diversi e li conduce attraverso un incubo nel quale metteranno a nudo le proprie debolezze.

Lewis in quanto uomo di sport è il leader del gruppo ma ne uscirà fortemente ridimensionato, Ed al suo opposto è il timido e previdente uomo comune con l'assicurazione sulla vita ma che porterà in salvo il gruppo, Drew è l'intellettuale di sani principi liberali e perciò il più debole e alla fine destinato a soccombere, Bobby è il classico pacioccone middle-class americano sempre pronto allo scherzo e amante delle comodità.

L'avventura proposta da Lewis consiste nello scendere il fiume da un isolato villaggio a bordo di due canoe e arrivare alla cittadina posta più a valle. I primi indizi che la natura del luogo e i suoi abitanti non siano poi così amichevoli vengono dall'ironia dell'uomo che affitta le imbarcazioni e dall'incontro-scontro musicale tra la chitarra di Drew e un ragazzino deforme che suona il banjo. E' una delle scene più belle del film, Drew comincia a pizzicare la chitarra quando ad un tratto gli risponde il banjo del piccolo seduto su di una sedia a dondolo nel portico di una casa, inizia un vero e proprio duello di velocità musicale tra i due che si conclude con la sconfitta di Drew.

Il primo giorno di discesa del fiume pur tra le difficoltà dei quattro inesperti canoisti si rivela idilliaco ma poi l'atmosfera si fa cupa: la scura e minacciosa foresta partorisce i suoi mostri decisi a dare una lezione agli "intrusi" che verranno assaliti, e nel caso di Bobby addirittura violentato, da due rozzi e sdentati montanari. Atterriti dalla paura i quattro "cittadini" si renderanno conto che l'esperienza di vita collettiva a cui sono abituati nella metropoli non serve a niente, dovranno contare sulle proprie forze individuali, sul loro istinto animale per riuscire sopravvivere. Il delicato intellettuale Drew non ce la farà, il superuomo Lewis si rompe una gamba, tocca al mite Ed tirare fuori le sue risorse morali e portarli fuori dall'incubo. Ma l'incubo è davvero finito? Ed è ormai al sicuro tra le mura di casa propria ma ogni notte si sveglia di soprassalto sognando la mano di un cadavere che lentamente si protende fuori dalla superficie del fiume.

Ed è proprio il fiume con il suo fragore e i suoi colori freddi il protagonista principale. La splendida fotografia di Vilmos Zsigmond ne coglie appieno il mutevole carattere, prima calmo e idilliaco e subito dopo oscuro e gonfio di rabbia. Mette al cinepresa al livello dell'acqua per riprendere il corpo di Drew incastrato tra le rocce delle rapide fino a riempirne l'intero schermo. Usa un tempo di esposizione lunghissimo per creare un chiaro di luna innaturale nel seguire Ed che scala lo strapiombo per giungere all'uomo che li perseguita.

Grandi le interpretazioni di Jon Voight nella parte del compassato Ed, di Burt Reynolds in quella del macho Lewis e splendida quella di Ned Beatty che tratteggia Bobby in maniera perfetta.

Un grande film.

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