E' uscito cinquant'anni giusti fa.

Qualche decennio dopo un ragazzino musicalmente insignificante ma assai precoce, io, gironzolava sedicenne per le balere del Nord Ovest col suo sassofono contralto. Un Grassi dorato. Ance Rico n.3.

Il sax perché era una delle "voci" di Lucio Dalla. E perché uno dei primissimi dischi comprati era un bel 33 di Charlie Parker.

Poi tutto cambiò, e cambiò per sempre.

Su segnalazione del solito amico più grande e più studiato, un bel giorno il giovane fagiolone e brufoloso s'avvicinò a questo disco dalla copertina celebre anche per chi di jazz sapeva, allora, pochissimo.

Questa foto di un nero austero e severo, fotografato dal basso mentre suona, concentratissimo, il suo tenore.

Dopo aver spacchettato (quant'era bello spacchettare un 33?) ed averlo messo sulla piastra (quant'era bello mettere un patellone sulla piastra, farlo girare, soffiarci sopra per togliere la polvere, ed appoggiarci la puntina?), partì il fiume, l'onda, l'eterno e tecnicissimo fluire delle note di Trane.

E un mondo s'aprì. Un mondo incredibile, mai vissuto né sentito prima.

Un identico fluire di emozioni. Fortissime. Incontrollabili.

Per la prima volta incontrai un genio con cui fu (ed è tuttora, forse per chiunque) impossibile misurarsi.

Anche oggi, che da anni ho abbandonato il sax e che nella band ho un sassofonista davvero fenomenale, quando si sfiora il "discorso Trane" cala un'aria da celebrazione liturgica, un'aria di sacro. Da un "attentoaquelchedici" o da "uniamociinpreghiera".

Allora furono solo sensazioni incontrollabili, ma col tempo diventò vero e proprio studio.

Col tempo si comincia a capire tutto quello che c'è dietro un disco come questo. Si capisce lo studio, la sperimentazione, le ore ed ore passate da John, in casa sua, a studiare, a provare e riprovare, a pensare, comporre, concepire.

Perché Trane, per chi non lo sapesse, era l'opposto di Bird. Dove Charlie era tutto istinto e talento irrefrenabile, John era studio metodico e cultura (ovviamente combinato con una delle più grandi sensibilità musicali di tutti i tempi). Dove Charlie s'impegnava il contralto e suonava col primo "ferro" che gli veniva a portata, Trane non avrebbe mai cambiato né sax, né ancia né bocchino per nulla al mondo.

Qui, in "Gian Steps", titolo simbolico, si fa il salto. Si fa davvero il passo da gigante. Trane trova il proprio linguaggio, la perfezione del proprio suono e del proprio fraseggio.

Il gruppo, costretto a maratone di ritmi velocissimi e a tratti insostenibili, vede al piano, nella versione originale, gli ottimi Wynton Kelly e Tommy Flanagan, mentre vede l'apporto del comunque ottimo Cedar Walton nelle alternative takes non pubblicate inizialmente nel disco originale.

Improvvisazione pura ma studiatissima, fluire denso di note mai retoriche o banali. Mai stucchevole. Semplicemente perfetto.

Soprattutto, visto ex post, dopo cinquant'anni giusti dalla pubblicazione, una vera e proprio scuola, dalla quale nessun sassofonista jazz successivo, in un modo o nell'altro ha potuto né saputo prescindere.

In tutto questo fiume di note, si stacca "Naima", la ballata perfetta, completamente "scritta", priva di improvvisazione (almeno nella versione studio presente nel disco), dedicata alla prima moglie.

Un capolavoro nel capolavoro.

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