“Non cerco di fissare standards di perfezione per chiunque. Credo veramente che ognuno debba cercare di raggiungere la parte migliore di se stesso, il suo pieno potenziale, ma in cosa questo consista dipende da ogni individuo. Qualunque sia l'obiettivo, il solo avvicinarsi ad esso richiede cautela […]. Chiunque cerchi di ottenere la perfezione deve fronteggiare diversi ostacoli nella vita che cercano di abbatterlo. Qui intendo estrema attenzione agli elementi che potrebbero essere distruttivi, sia che vengano da noi stessi che da fuori.”

Così John Coltrane, dalle liner notes di Kulu se Mama (1965), commenta il brano “Vigil”, duello senza pietà fra il suo sax tenore e la batteria di Elvin Jones, cercando di descrivere con esso la strenua lotta per l'assoluto che è stata la cifra dominante di tutta la sua produzione in particolare nei suoi ultimi anni di vita.

Ma quando finalmente, attraverso questa lotta, si raggiungono la consapevolezza e la comprensione tanto agognate si avverte "un sentimento di pace, un sentimento di benvenuta pace" espresso da quell'oasi di serenità che è "Welcome", dove il dolcissimo sax di Trane vola finalmente libero e sereno sui delicati arpeggi al piano di McCoy Tyner e sulle percussioni, ora dome ma ancora vive e pulsanti come fuoco sotto la cenere, di Jones in un Nirvana musicale raggiunto solo poche altre volte ("Psalm", "Song of Praise", "Peace on Earth", "Venus", "To be").

È in sostanza l'incessante ruota della vita che in Coltrane e nella sua musica diventa ritualità, come nella "Suite" (di non molto inferiore, per ispirazione, al capolavoro "A love supreme" dell'anno precendente) dove rabbia, dolore, pace e meditazione si alternano durante l'arco di una intera giornata.

È questo un disco postumo (pubblicato nel 1970 ma registrato nel giugno 1965), di transizione (come da titolo dell'omonimo brano) stilistica dal jazz modale al free, ma che fotografa, come nessun altro forse, il momento più cruciale del quartetto Coltraniano, “il più grande sodalizio creativo mai emerso dall’incontro di quattro personalità diverse” (G. Dyer).

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