Nel secondo decennio del XX secolo, Kitty Fane (N. Watts), una giovane donna britannica, parte alla volta della Cina per seguire la professione di suo marito Walter (E. Norton), batteriologo. Vittima della noia e riluttante verso Walter, sposato contro la sua volontà, Kitty finirà con il tradirlo. Stringe infatti una relazione con Charles Townsend (L. Schreiber), proconsole. La tresca viene scoperta dal marito che, per vendicarsi, la trascina nel villaggio di Mai Tan Fu, colpito dal colera. Superate le prime ostilità legate all'adulterio, Kitty vive la misera realtà cinese non più nei panni della colonizzatrice ma si pone in primo piano nell'aiutare le orfanelle di un convento cattolico. La fatica e il sacrificio le varranno la riscoperta di se stessa e dell'amore coniugale, se pur troppo tardi.

"Il velo dipinto" è il secondo adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di William Somerset Maugham (1925). Una consistente frangia della critica ha inevitabilmente messo a confronto la prima trasposizione, risalente al 1934, con quella di Curran, regista già alle prese con la Watts in "I giochi dei grandi". I risultati sono stati altrettanto inevitabilmente scontati. "Il velo dipinto" del 1935, oltre che poter contare sul fascino indiscreto della pellicola in bianco e nero, ha alla cinepresa Richard Boleslawski, semisconosciuto attore e regista polacco che prima di calare le braghe ad Hollywood militava nel teatro d'avanguardia e di protesta politica, e ha nei panni di Kitty Greta Garbo. Date le premesse sarebbe un po' come confrontare il Colosseo al Kodak Theatre. Ma a prescindere dall'insensatezza del paragone, che avrebbe come unico scopo quello di svalutare l'opera di Curran,  i presupposti con i quali la regia agisce farebbero intuire un volontario quanto umile prendere le distanze da qualunque similitudine.

In primis, Curran rimane fedele al romanzo come nella prima trasposizione ma modifica il finale con una versione meno cinica e disincantata, se pur lievemente melensa. Inoltre ci risparmia la ramanzina contro il colonialismo la quale, più che arricchire di contenuti la trama, avrebbe soltanto sbilanciato la sceneggiatura verso tutt'altre riflessioni, magari anche prive di effettivo fondamento e quindi ignoranti.  Naomi Watts, ringraziando il Cielo, non pretende di essere la Garbo, ma fa del suo meglio per costruire alla perfezione il personaggio di Kitty: una donna della borghesia britannica catturata nel vortice delle sue frivolezze, alla quale l'incontro con la povertà più sfacciata serve da monito al riscatto interiore. Edward Norton riesce nella parte, anche se le vesti del marito tradito, dello spietato vendicatore e del convertito al perdono cucite tutte insieme sembrano quasi cadergli di dosso in molti momenti della pellicola. Una note positiva e di indiscutibile originalità sono senza ombra di dubbio gli incantevoli scenari orientali. Sia negli immensi campi che negli afosi villaggi cinesi, emerge una particolare dedizione nei confronti delle ambientazioni tutte riprodotte con garbato realismo.

Cosa rende "Il velo dipinto" differente dalle numerosissime storie edulcorate che ogni giorno vedono la luce sulle colline hollywoodiane? In effetti, più che stucchevole il film è semplicemente romantico. Non si parla certo del pirotecnico romanticismo di un "Moulin rouge" o della controversa sensualità di "Espiazione" ma, con le dovute eccezioni, la coppia Kitty - Walter ricalca le orme di Ruth - Bertil, i tristi sposi di Bergman in "Sete", un richiamo connesso,  più che altro, alla soluzione che entrambe le coppie raggiungono: nonostante l'incompatibilità e le incomprensioni, attraverso una maggiore coscienza dell'individualità e del vivere insieme è possibile raggiungere un inossidabile equilibrio coniugale.

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