Qualche giorno fa stavo passeggiando sotto gli alberi pigri di un parco, dove cumuli di anni fa, da piccolo, passavo intere giornate. E ho capito che l'odore del tempo lo annusi con la mente, e non col naso. Ho rivisto tanti vecchi pomeriggi, magari un po' appannati, ma abbastanza chiari: la polpa torna sempre a galla. Pomeriggi brillanti, ormai persi nelle stagioni che si sono rincorse. Ed è incredibile vedere come il ciclo ancora continui, misterioso e affascinante. E tutti noi, proprio tutti, cerchiamo ancora in un modo o nell'altro di dare una chiave di lettura a tutto questo, di sfornare una traduzione per questa criptica meraviglia che chiamiamo vita.

Musicalmente parlando, molti artisti hanno immerso la testa in queste fontane di acque infinite, sedendosi tranquilli e lasciando arrivare la musica da sola. Il buon John Fahey ha lasciato che la sua splendida chitarra navigasse su queste rotte addormentate, lambendo così coste della mente perse chissà dove. Quest'opera è un omaggio a tutti i "viaggiatori", che si usi la testa o le gambe non importa. La musica contenuta in "Fare Forward Voyagers" (1973) è un affresco di vite e di percorsi, dove vengono dolcemente raffigurati tutti coloro che hanno vissuto, vivono e vivranno, tutti i viaggiatori del passato, del presente e del futuro, tutti gli uomini che hanno gli occhi spalancati dalla curiosità, i sognatori-i pensatori-i camminatori, i trascinatori di se stessi ormai stanchi, i prodi cacciatori di nuvole, i respiranti-ossigeno magico…

In una splendida rivisitazione "mistico-folk", John Fahey trasforma in musica strumentale gli splendidi versi di T.S. Eliot, seguendo anche le lezioni filosofiche dell'estremo oriente. Ciò che ne scaturisce è un percorso sonoro dentro l'uomo, una sorta di contemplazione mistica in musica, con le corde della chitarra che zampillano, corrono e si rilassano, a creare melodie dolci, misteriose, instabili, che tendono però ad un'armonia generale. Il disco è composto da tre lunghi brani:

"When The Fire And The Rose Are One" (13' 54''); ossia "quando il fuoco e la rosa sono una sola cosa". Fahey riprende un verso di Eliot, secondo il quale quando questa unione avverrà, ogni cosa nel mondo galleggerà in un beato equilibrio. Il tutto espresso attraverso pennellate di note ed accordi, costantemente in bilico tra calma e burrasca, come a cercare quel famoso equilibrio a cui tutto in definitiva aspira;

"Thus Krishna On The Battlefield" (6' 36''); riguarda l'importanza di compiere gesti ed azioni in modo disinteressato, per garantire una maggiore armonia nel mondo. Gli echi delle filosofie indiane e orientali sono molto forti quindi, come si può riscontrare, del resto, anche dal titolo. In questo brano la chitarra predilige armonie libere, che spesso si mischiano a scintille sonore dal tono deciso, basso e cupo;

"Fare Forward Voyagers" (23' 38''); la lunga fine della ricerca. E' l'affresco del viaggio e soprattutto l'augurio ai viaggiatori, che verso dove vanno, non si sa. E' il brano in cui il chitarrismo "impressionista" di Fahey viene fuori del tutto, in un alternarsi di percorsi musicali instabili, voli improvvisi, continue ricerche di qualcosa che sfugge, fino ad arrivare ai placidi accordi finali, raffiguranti magari proprio l'equilibrio raggiunto; non è stato il primo della nostra vita, e non sarà l'ultimo. Citando ancora i versi del poeta inglese Eliot: "Not fare well / But fare forward voyagers" ( Non buon viaggio / Ma avanti, viaggiatori").

Insomma, compadres, un disco da sentire in silenzio e da annusare molto lentamente, arrivando a scoprire che in definitiva la musica, e quell'altra cosa che chiamiamo vita, sono in realtà un tutt'uno indivisibile. E diciamolo, il solo pensare a quante storie si intrecciano e respirano nel mondo fa venire il capogiro.

Questa recensione è dedicata a tutti coloro che vivono, nel bene e nel male. Buon proseguimento di viaggio, di cuore…

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