Gal, ex malavitoso inglese con pancetta e pelle conciata dal sole fino a sembrare cuoio, si gode la vita sulla Costa del Sol: villa kitsch, piscina, DeeDee la mogliettina ex-porno star e la coppia di amici Aitch e Jackie, connazionali da vacanza alcolica low cost. Tutto bene, finché un masso non si stacca dalla collina e piomba in piscina: metafora sottile come un elefante in cristalleria sul fatto che la pace è finita.
Infatti arriva Don: Ben Kingsley in versione anti-Gandhi, un psicopatico che spara insulti a raffica e infetta lo schermo come un virus. Mandato dal boss Teddy a trascinare Gal a Londra per il fatidico “ultimo colpo”. Perché questa banda abbia bisogno proprio di Gal, quando ha già uomini a sufficienza, resta un mistero insondabile. Ma cliché vuole così, e cliché sarà.
Kingsley non recita: travolge, schiaccia, divora. Peccato che l’eccesso oggi suoni un po’ datato, e i suoi sproloqui triviali sembrino un Tarantino di seconda mano, in piena indigestione.
Il film scava nelle relazioni tossiche di questi uomini e delle donne che orbitano attorno: Gal che adora DeeDee, Don che riversa rabbia repressa e rancore amoroso su Jackie. È lì che pulsa il dramma, più che nella rapina.
Winstone e McShane completano con Kingsley una triade di attori britannici che da soli valgono il prezzo del biglietto. Winstone nei panni di Gal, pacioso, mentalmente “in pensione” e improbabile come criminale, ma con quella dolcezza malinconica che quasi fa dimenticare le incongruenze; McShane, invece, è Teddy, freddo e cinico come un frigorifero, capace di far gelare lo schermo con un solo sguardo. Tre caratteri diversi, ben definiti e calibrati, che sostengono il film quando la trama si prende una pausa dai cliché.
Anche visivamente il contrasto funziona: assolata e pigra Spagna contro umida e claustrofobica Inghilterra; un montaggio frenetico e vari inserti onirici come la caccia al coniglio, che paiono più riempitivi che necessità narrative. Almeno il film dura meno di 100 minuti: lusso raro, oggi che tutto sembra obbligatoriamente un director’s cut.
Alla fine Sexy Beast resta soprattutto la creatura di Kingsley: senza di lui, sarebbe un piccolo crime movie, per quanto di culto (definizione che ormai non significa granché), capace persino di generare una fallimentare serie-prequel su Paramount+.
E anche con lui, resta un film con un buco logico grande quanto il masso caduto in piscina.
Diretto da Jonathan Glazer, regista scarsamente prolifico - quattro film in vent’anni - recentemente assurto a nuova popolarità con l’eccellente The Zone of Interest.
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