Negli ultimi mesi, sia i colleghi professori sia quelli del giornale mi hanno sentito citare più volte questo libro. «Dovreste leggere Haidt – dicevo – perché spiega, con dati oggettivi, cosa sta accadendo alle nuove generazioni». Anche durante i consigli di classe, affrontando con i genitori le difficoltà dei ragazzi di oggi, ho fatto più volte riferimento a questo testo, provando a chiarire perché i loro figli si trovano ad affrontare problemi che prima erano rari, o addirittura inesistenti.

Provo a riassumerlo, anche se il libro è denso e analitico – ma scritto in modo così limpido e scorrevole che si legge come un romanzo. Secondo Haidt, psicologo sociale, tra il 2010 e il 2015 si è verificata una “Grande Riconfigurazione” nell’infanzia e nell’adolescenza. La Generazione Z, seguita dalla Alfa, è stata la prima a crescere non più attraverso il gioco libero, ma con il telefono in mano. Ed è qui che, secondo l’autore, si annida il problema: lo smartphone agisce come inibitore di esperienze, impedendo ai ragazzi di sviluppare le competenze fondamentali per affrontare il mondo, gli altri, se stessi.

Il gioco libero – quello che avviene tra pari, senza la supervisione degli adulti – costringe i bambini a organizzarsi, darsi regole, gestire i conflitti e affrontare qualche rischio (calcolato). È proprio attraverso l’esposizione al rischio che si cresce. Haidt identifica sei tipologie di rischio fondamentali per lo sviluppo: velocità, altezza, elementi pericolosi come il fuoco, esplorazione, contatto fisico... Senza queste esperienze, i bambini non maturano, restano fragili, insicuri.

Invece di affrontare la realtà e le sue sfide, gli adolescenti trascorrono fino a 40 ore settimanali – l’equivalente di un tempo pieno lavorativo – davanti a uno schermo. E le conseguenze sono diverse tra maschi e femmine.
Le ragazze sono sottoposte a un bombardamento continuo di modelli estetici irraggiungibili. Cercano di imitarli, e quando falliscono – cosa molto probabile – i dati mostrano un aumento significativo dei casi di depressione. La depressione, sui social, è contagiosa: una ragazza che pubblica contenuti a tema depressivo non influenza solo le amiche, ma anche le amiche delle amiche. Perché, spiega Haidt, sui social vince chi è più estremo.

Per i maschi il discorso è diverso. Più che i social, scelgono l’isolamento: si sentono inadeguati, e si rifugiano nei videogiochi e nella pornografia. Un universo in cui ogni loro desiderio trova soddisfazione immediata, ma che paralizza le capacità reali, compromettendo le competenze sociali, scolastiche e relazionali. Non sanno più parlare con una ragazza, hanno risultati scolastici peggiori rispetto alle compagne e, soprattutto, non credono più nella possibilità di costruirsi un futuro lavorativo.

Naturalmente, la colpa non è loro. Haidt parla di genitori “elicottero”, che sorvegliano costantemente i figli. Lo fanno anche perché oggi è impensabile lasciare che un bambino di nove anni vada da solo a fare una commissione. E la legge non aiuta: il rischio di incorrere in accuse di abbandono di minore è sempre dietro l’angolo.

Così, da una parte i ragazzi hanno perso la libertà nel mondo reale, dall’altra l’hanno ottenuta in misura illimitata nel mondo digitale. Haidt propone una metafora efficace: come reagireste se vi dicessero che domani vostro figlio parte per Marte? Ecco, consegnare uno smartphone con accesso libero a social, messaggistica, videogiochi e pornografia equivale a fare proprio questo. Ma la maggior parte dei genitori non se ne rende conto. E parental control e limiti orari, da soli, non bastano.

Tra le proposte dell’autore c’è l’introduzione di limiti di età reali e verificabili per l’uso dei social. L’attuale divieto sotto i 13 anni è poco più di una foglia di fico: le piattaforme non fanno nulla per accertare davvero l’età dell’utente, anche se i mezzi per farlo esistono.

Idealmente, secondo Haidt, gli smartphone andrebbero concessi solo intorno ai 16 anni. Prima, solo telefoni basic per chiamate e SMS.
E immagina un futuro diverso: scuole con grandi parchi, aule in cui i ragazzi possano inventare giochi, costruire, sperimentare. Senza smartphone in tasca. E, soprattutto, senza genitori iperprotettivi a soffocarli. Perché la crescita ha bisogno di libertà e persino di qualche scottatura.

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