Giunto alla pensione dopo una carriera non troppo brillante, con anni passati in una sperduta località di confine, l'ex poliziotto Benjamin Esposito cerca nella scrittura un rifugio per mettere ordine nel suo passato, tentando di scrivere un romanzo sul caso che vent'anni prima ha segnato la sua vita: lo stupro ed omicidio di Liliana Coloto, giovane donna di Buenos Aires.

L'ispirazione manca, ed Esposito non è in grado di scrivere, fino al giorno in cui, tornando al palazzo di giustizia dove lavorava negli anni '70 al servizio del giudice Fortuna, non reicontra la sua ex collega Irene Hastings, all'epoca dirigente di cancelleria e divenuta poi giudice.

Pur con qualche dubbio e resistenza, figli di ricordi negativi dell'epoca, la donna comincia a leggere il manoscritto ed invita Esposito ad andare avanti nella difficile stesura del romanzo che mescola cronaca nera, vicende storiche di un'Argentina in crisi economica e prossima alla dittatura militare, e storie di vita quotidiana nel tribunale di Buenos Aires, fra le sfuriate del giudice fortuna, le bassezze del collega reazionario Romano, il tocco leggero ed ingegnoso dell'amico e collega Pablo Sandoval.

La narrazione è basata sul contrappunto fra uno statico presente, in cui un ingrigito Benjamin ed una stanca Irene cercano di mettere in ordine in eventi sepolti che hanno, in qualche modo, condizionato le loro vite e la loro carriera, ed un passato tormentoso, dove si il giovane poliziotto ed il collega Sandoval avviarono un'indagine non autorizzata, con spunti ora comici, ora concitati, alla ricerca dell'assassino di Liliana, per dovere di verità e giustizia e per saldare una promessa fatta al vedovo della donna uccisa, Ricardo Morales.

Nella ricerca dell'assassino, condotta a partire dalle fotografie della vittima, i due poliziotti si avvicinano gradualmente all'identità di un colpevole che sembra inafferrabile e che viene finalmente arrestato su intuizione di Sandoval, per il quale, nella vita, tutto può cambiare ed a tutto si può rinunciare, meno che alla propria passione, sia essa un amore nascosto e mai dichiarato, l'alcool e le risse in una bettola di periferia, il calcio. Attorno ad essa ruota la vita di ciascuno di noi, ed attraverso di essa si può conoscere il segreto di chiunque.

L'individuazione del colpevole - spinto poi a confessare dalla Hastings - non è, però, che l'inizio del dramma, che si interseca con l'avvento della dittatura militare e la trasformazione della polizia in guardiana del regime, attraverso le violenze della sua sezione politica e dei torturatori che ne fanno parte.

Ed è qui, a metà anni, '70, che iniziano si snodano i differenti percorsi di Esposito, Hastings, Sandoval e Morales, in cui l'omidicio di Liliana altro non è che la causa scatenante delle rispettive solitudini e delle tragedie individuali di ognuno, che soltanto la scrittura di un tardivo romanzo saprà placare.

"Il segreto dei suoi occhi" - Oscar 2010 per il miglior film straniero - è un finto poliziesco che, a dispetto delle premesse e dello stesso sviluppo della trama, usa i misteri e le contraddizioni della vicenda gialla per parlare delle vite e dei sentimenti di chi è sopravvissuto alla vittima e, nel tentativo di punire il colpevole ristabilendo l'ordine violato dall'omicidio, ha via via perso il controllo della propria vita, vuoi per ossessione - come il vedovo della donna - vuoi per caso - come i due poliziotti - o per necessità - come la giovane funzionaria di cancelleria - tutti subendo con rassegnato fatalismo il proprio destino.

Profondamente radicato nella cultura e nella letteratura sudamericana, il film, a propria volta tratto da un romanzo di Eduardo Sacheri, richiama la narrativa di Borges, Cortazar, Vargas Llosa e Bolaño, dove pone al centro della narrazione degli uomini di legge, o d'ordine, che si agitano alla ricerca di una verità, i una giustizia e di un amore percepiti dai protagonisti come un bene assoluto per il quale tutto si può mettere in gioco, fino all'esilio ed al sacrificio della vista stessa, ma che proprio per la loro tensione ideale risultano "stelle distanti", lontane ed incomprensibili da un mondo in cui dominano violenza, corruzione e compromesso ed in cui, come dice con sprezzo un personaggio del film, "un Esposito resta sempre un Esposito: una nullità".

Tutto il film si gioca dunque sulla tensione degli opposti, siano essi presente e passato, amore assoluto e rinuncia nella quiete quotidiana, sofferenza e rassegnazione, abbandono al vizio e slancio talentuoso, intelligenza e violenza, città e periferia, sacrificio ed egoismo, rovesciando continuamente la prospettiva offerta allo spettatore fino a farlo perdere in un labirinto in cui ci si rassegna a percorrere strette vie circondate da muraglie piuttosto che a cogliere una visione di appagante e completa della vita e dei suoi valori.

Sembrerebbe dunque un film pessimista, tragico e senza vie d'uscita, quello di Campanella, partecipe nel nichilismo che fa da controcanto ad ogni ricerca di valore rimasta inappagata, e messa di fronte al limite, all'illusione ed alla delusione che ne conseguono.

Eppure, resta il segreto dei "suoi" occhi, dove il pronome possessivo viene lasciato, volutamente, nell'indeterminatezza, per cui quando si esce dal cinema ci si chiede a chi appartengono gli occhi, quale segreto celano, e quale sia il senso ultimo di questo segreto.

Possono essere gli occhi della vittima, chiusi da una mano pietosa con un guanto di cellofan, o ancora aperti sulla foto ben in vista su una libreria di campagna; oppure gli occhi di una persona a cui non si è mai dichiarato il proprio amore, risvegliando il sentimento non appena li si incrocia, anche dietro un paio di lenti da presbite; quelli di un amico che ha l'accortezza di aiutarci quando siamo in difficoltà, ubriachi in una bettola, o esposti alla vendetta di uomini pericolosi; quelli di un vedovo in disperata attesa di un treno che non verrà o di un prigioniero in solitaria speranza di una parola che renda meno dolorosa la sua punizione.

Ogni occhio ha il suo segreto, ed ogni segreto cela una passione che, scoperta, può dare un senso, tragico o comico, alla vita di ognuno, per quanto "complicata" essa sia, per usare l'aggettivo con cui Irene Hastings definisce, sorridendo, lo stato delle cose a conclusione della vicenda.

Un senso che può solo intuirsi, od in cui ci si imbatte d'improvviso, ma che non muta, come non muta mai, a pensarci, lo sguardo di ognuno di noi.

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