Dopo il discreto successo di "Siege Perilius", primo album col nuovo cantante Roy Khan, esce nel 1999 il nuovo album "The Fourth Legacy"; i Kamelot di distinguono da sempre dagli altri gruppi soprattutto dalla voce del bravissimo e dotatissimo RoY Khan, che interpreta al meglio ogni singola canzone, facendone riecheggiare la melodia in testa dell'ascoltatore.
Ad aprire le danze ci aspetta "New Allegiance", opener interamente musicale e decisamente convincente, che però lascia ben presto lo spazio alla title track, "The Fourth Legacy" che apre in maniera decisa il vero e proprio album scatenando nella mente dell'ascoltatore sensazioni forti e fuggenti; da notare uno dei ritornelli più belli mai cantati dal Khan. La seconda track, "Silent Goddess", sebbene sia potente al punto giusto non lascia - a mio parere - niente o quasi all'ascoltatore che della canzone ricorda solo il ritornello (almeno a me così è successo!). Ma attenzione, perchè in men che non si dica i nostri power metaller ci trasportano nei più sconfinati deserti al ritmo irrefrenabile di "Desert Reign", il secondo interlude musicale del CD, che conduce dopo melodie e ritmi orientali a quella che molti hanno indicato come la migliore track del CD: è "Nights Of Arabia" che interpretata magistralmente dal cantante prodigio lascia (al contrario della precedente canzone) un ricordo indelebile per tutto il CD.
Passa un po' più lentamente la successiva "The Shadow Of Uther", ascoltabile ma non il capolavoro dei capolavori (passa parecchio inosservata), resta comunque una buona cavalcata power: ma il ritmo per un attimo si arresta nella successiva "A Sailorman's Hymn", una lentissima, dolcissima e bellissima ballad in pieno stile Kamelot (basti pensare a "Wander in Epica" o "Abandoned in Black Halo"), che racconta di una donna che spera nell'arrivo del suo marinaio ("so she lights up a candle for hope to be found, captive and blind by the darkness around, each wave a promise, new hope reborn, sunrise consoles at the break of dawn"). Dopo che anche questa piccola perla si è insediata nella vostra mente (a me ha dato strani effetti depressivi, ma credo sia proprio quello l'effetto desiderato), arriviamo ad un'altra canzone discussa e non a tutti piaciuta: "Alexandria", canzone poco power e molto arabeggiante, sulla stessa onda di "Nights Of Arabia"; questa canzone è seguita immediatamente dalla possente "The Inquisitor", che effettivamente ha ben poco che spartire con la precedente canzone (la decisione di accostare due canzoni così diverse anche sul piano dei contenuti non a tutti è andata a genio!); la canzone si fa notare per la storia di un inquisitore cristiano che tenta in qualche modo di convincere l'ascoltatore a seguirlo ed a fidarsi di lui. Decisamente sottotono rispetto alla precedente ballad, "Glory" è una di quelle canzoni senza troppe pretese, che si fila liscia ma che non segna un passaggio importante nel cd (come avverrà in "Epica" e poi in the "Black Halo").
Ma ecco i due capolavori del disco: "Until Kingdom Come" e "Lunar Sanctum", due piccole perle che chiudono in maniera geniale un CD nel complesso molto buono. La prima è una speed power cavalcata come solo i Kamelot sanno fare, con il miglior ritornello del disco; la seconda risulta invece una novità assoluta nel disco e nella loro produzione: dopo un introduzione di chitarra classica e dopo l'intervento della batteria (davvero esaltante) la canzone si apre ad una strofa formata da poche parole per verso ("little do i know /little do i care /little would it help /if i knew and was aware") per poi sfociare in un ritornello davvero orecchiabile, a chiusura di un album, che, sebbene non sia il migliore dei Kamelot, si è fatto notare in maniera convincente!
DA ASCOLTARE!!!
p. s = ottima la copertina!
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