Questa non è una recensione, volevo scriverla ma non ci riesco.
Non è possibile fare la recensione di un film che non è un film, non è un documentario e forse non è neppure cinema, ma un atto di dolore. Non è possibile farlo secondo i canoni classici con cui si recensisce o si commenta un'opera cinematografica. Qualsiasi parere sulla regia, le inquadrature, la recitazione degli attori equivarrebbe a sminuire l'altissimo valore civico e morale di questa pellicola.
Mi limito solo ad una considerazione: non vediamo mai direttamente l'orrore vissuto da questa bambina di sei anni stritolata dall'ingranaggio di questa assurda e irragionevole macchina di morte. Non sono le immagini (e cioè la forza primaria del cinema) a parlarci, ma solo una voce, rappresentata da una linea bianca sullo schermo nero. E paradossalmente questa negazione dell'essenza del cinema si dimostra l'arma (scusate per questo brutto termine, non mi veniva altro) più potente per farci capire la mostruosità di quello che è accaduto.
Permettetemi una brevissima chiosa fuori contesto. Qualche giorno fa in un programma televisivo un fantomatico presidente di un'associazione di amici di Israele, in risposta a chi lamentava la strage di bambini che sta avvenendo a Gaza, ha detto: "mi definisca bambino". La risposta arriva come un urlo dallo schermo dei cinema e si chiama HIND RAJAB.
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