My Empire of Dirt
"Chi dispone un fiore, innanzitutto deve conoscere bene quel fiore. Le donne sono un fiore, ma sono anche un vaso."
L'impero grottesco e perverso di Rannosuke Hanayagi, diciassettesimo capo della scuola di Ikebana Kurokami, erede di una tradizione di fiori, depravazione, sesso, atrocità e collusioni politiche lunga quattrocento anni. Uno Stato nello Stato, un Impero del Male.
Questo quanto rappresentato ne I Fiori del Male, capolavoro manga di Kazuo Kamimura e Hideo Okazaki. Lungo oltre settecento (!) pagine, si dipana un tour de force di aberrazioni, malvagità pura, erotismo e sadomasochismo, in cui vengono richiamati Baudelaire, De Sade, Mishima e Tanizaki (autore de La Chiave, romanzo che viene citato esplicitamente e che venne adattato su schermo da Tinto Brass) secondo uno stile visionario, dove orrore e bellezza vanno di pari passo, sono quasi uno la conseguenza dell'altra. Ma dove la rappresentazione di tali atrocità e perfidie non è mai brutale né pornografica, bensì sempre filtrata dall'allegoria, dal simbolismo e dalla meraviglia estetica. Difatti, si può a tutti gli effetti dire che in questo manga sia presente una delle più alte ed artistiche rappresentazioni del Male mai viste. Anche se questo nulla toglie alla complessità di un'esperienza estenuante e comunque estrema.
"Ogni persona ha il desiderio di diventare qualcun altro. Questo è il risultato del fatto che ognuno, nel profondo del cuore, si ama e si odia allo stesso tempo"
Un'opera ambiziosissima che, quasi cinquant'anni fa (il manga è del 1975) parlava della sessualità fluida, della relatività dei generi, che possono confondersi e invertirsi in continuazione, in quanto
"La linea genealogica della famiglia Hanayagi è simile a un labirinto dove uomini e donne si mischiano e si confondono continuamente.
Noi abbiamo sempre cercato di comprendere l'essenza dei fiori nella gioia e nel dolore che si prova quando un uomo diventa una donna e viceversa."
"La gioia di frustare e di essere frustato. L'edonismo che nasce dall'aver sperimentato tutto."
I Fiori del Male è una parabola sulla perdizione e la dissoluzione, sulla lussuria, l'abominio e la possessione. Un'opera che mostra un Impero destinato alla decadenza, così come appassiscono i fiori e invecchia la carne. Meglio allora cadere nel momento dell'apice, al culmine dello splendore. In un mondo comunque prossimo alle fiamme, pronto probabilmente a rinascere ciclicamente in altre forme e in altri regni. In altri imperi dei sensi, della passione e del terrore.
Oltre che una riflessione forte sul ruolo della classi dominanti, su quanto possa produrre la mercificazione del corpo, lo svuotamento di ogni sentimento attraverso la privazione della dignità, l'umiliazione sistematica. La riduzione a mero oggetto del piacere, a uso e consumo di una élite finanziaria e di potere.
Un'opera non per tutti, ma un'esperienza indimenticabile.
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