Quand'ho letto che Jarrett era tornato in studio dopo più di dieci anni, credo di essermi messo a ballar macarene e fare ole da solo per la cucina (scrivo, lavoro, leggo, suono, praticamente vivo in cucina...).

Ed ho ovviamente atteso l'opera con devota ed inginocchiata adorazione aprioristica. Sì, perché l'opera in studio ha sempre un che di meditato, di studiato, di ponzato, che nell'immediatezza della creazione live non può esistere (pur essendo, per altri versi -ma, appunto...: per altri- il live opera ontologicamente superiore...).

E di solito l'impresa di studio, se rischia di essere carente in quanto ad anima, è però spesso costruita e affascinante, soprattutto se l'autore e il regista del tutto è un artista del calibro di Keith Jarrett. Ed il compagno di viaggio non è una comparsata qualunque, ma quell'antico e perfetto compagno di viaggio di Charlie Haden.

Dunque, le aspettative erano altissime. Talmente alte che si aspettavano, in realtà, solo gli argomenti "a conferma". E invece l'opera, ascoltata e "vissuta" più volte, merita un approfondimento di gran lunga superiore a quello che ci si sarebbe aspettati di dover affrontare. In più, si leggono recensioni entusiastiche, lacrimevoli, inginocchiate...

Intendiamoci: io reputo Keith Jarrett niente meno che Dio. Ma non è detto che, aprioristicamente, tutte le ciambelle siano le più belle del mondo, col buco più bello del mondo, prove inoppugnabile dell'esistenza dello stesso Dio...; quindi, in soldoni, mi permetto il pericoloso lusso di una controtendenza jarrettiana. Mi verrebbe poi d'istinto il mantra menandriano "poi ci pentiamo...poi ci pentiamo...", ma non posso proprio dire d'aver goduto dove non ho goduto, d'aver visto l'afflato dell'anima dove purtroppo non l'ho visto.

Intendiamoci ancora: questi due ex ragazzi suonano eccome, il disco è un sottofondo perfetto per una cena o una ciulatina di classe... Ma a questo si devono ridurre due giganti...? Haden sì, obiettivamente: molti suoi dischi (su tutti il perfetto "Nocturne") sono vero sottofondo di lusso, talmente bello da esser oggettivamente incriticabile (come in parte rimane comunque questo disco), ma, nel nostro caso, c'è un preoccupante rischio "piattume": Haden suona in basic; certo, si può sostenere che come "batte i quarti" lui non li batte nessuno, e probabilmente è vero, ma, anche qui, non sempre riesce il gioco dell'emozione d'un minimalismo così estremo.

Il Jarrett di questo disco è stato dai più avvicinato a quello solitarissimo di "The melody at night with you". Errore marchiano, a mio avviso, anche se ammetto esser difficile da vedere. Là Keith era minimalista ma inesploso, perfetto nel tocco e nel fraseggio, etereo, apparentemente inconsistente ed invece consistentissimo. Qui è piatto (dio mi perdoni...). Poco ispirato. Ogni frase è "telefonata" benché oggettivamente splendida, così come lo è un solo di BB King.

Tutto scorre bene, per carità, ma l'emozione resta lontana. Da due nomi del genere c'è sempre da aspettarsi di più che un sottofondo cinque stelle. Anche se anche quello, ogni tanto, può servire...: insomma, è meglio sentire questo disco strafugnando una ventenne e sorseggiando un buon Gosset che sentire gigidaless giocando a ramino con una cinquantenne e tracannando un tavernello ghiacciato.

Ma Jarrett sarebbe felice di avere il compito di dar ragione a Catalano?

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