Mi è una successa una cosa alquanto strana. Ve la racconto. Un tizio porta una sua amica al bar. La guardo. Parla il giusto, sembra abbastanza sveglia e alla mano nel suo rapportarsi con noialtri cazzoni perditempo. Mentirei tuttavia, se vi dicessi che ci avrei fatto caso se non fosse stata carina. E non vedo il motivo per farlo, visto che non devo mica fare bella figura con voi. Beh, a dirla tutta, più che un bel visino aveva delle belle tette ed è così infatti che la chiamerò. Belle Tette. Sì, sono estremamente sboccato, superficiale. E molto medio, ma che cazzo volete che vi dica. Da brava radical chic si mette a parlare di cinema e così Belle Tette inizia a decantare il vincitore del concorso testè conclusosi: un regista pazzesco a suo dire. Io mi incuneo e serpeggio viscido nel discorso. Avrei voluto dirle che gli ultimi tre lavori di Ken Loach mi avevano lasciato insoddisfatto, specie se rapportati alla sua filmografia. Avrei voluto guardarla per una volta negli occhi e chiederle ghignando che cosa voleva esprimere con quel "pazzesco". Ma sono un debole e soprattutto avevo un debole per le tette di Belle Tette. E volevo pur rivederle. Magari osservarle ballonzolare da sotto. Un'inquadratura professionale, sia ben chiaro, degna di un signor regista. Un regista pazzesco. Ed è così che sono stato molto paraculo, falso come il sorriso di un impiegato di banca allo sportello.

Passano le settimane e mi ritrovo con lei al cinema a vedere "Io, Daniel Blake". La cosa strana è che il film l'ho guardato sul serio. La cosa drammatica è che alle tette di Belle Tette non ci ho pensato per le due ore complessive che mi hanno inchiodato con dolore alla sedia.

Un'opera lineare, pulita, essenziale, scevra di colpi di scena e retorica che piccona senza sosta con un ritmo lento ed implacabile. Un uomo vedovo e solo subisce un infortunio sul lavoro. Inizia così una tragicomica e paradossale lotta per avere un aiuto da parte dello stato. Non ha i requisiti per avere un sussidio di malattia ma nemmeno il placet del medico per tornare a lavorare. Incredulo, basito, interdetto e incazzato rimane nel limbo. Si scontra con un mondo fatto di ominicchi, quaquaraquà che lo trattano senza rispetto e dignità solo perché Daniel è una persona orgogliosa e tenace che non abbassa la testa. Un meccanismo glaciale e meschino le cui infinite contraddizioni vengono palesate a più riprese senza mai scadere in eccessi e cadute di stile. Sono logiche le conseguenze che portano gli eventi verso la naturale drammatica e ineludibile conclusione. La sceneggiatura è elementare e questa è una grande forza perchè evita dispersioni e mantiene focalizzata l'attenzione dello spettatore sui due personaggi principali. Il protagonista, infatti, si imbatte in una giovane madre e il loro incontro genera un paio di scene memorabili. Semplici, ma pregne di sentimenti umani sì intensi che il contrasto con la macchina burocratica è a dir poco accecante. E' un film da vedere non perché dica qualcosa di nuovo. Sono cose risapute e arcinote; il messaggio che lancia è banale se vogliamo essere sinceri. Quello che conta è il modo in cui il messaggio arriva.

Dite, lo avete mai preso un pugno in faccia?

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