Premetto che è il primo film di Kenneth Loach che vedo, quindi di lui so quel tutto e niente che si può carpire dalle voci, dalle scarne biografie e dalle esaltazioni dei fan più sfegatati che si possono trovare sul web, nelle quali si può leggere che è un regista di sinistra (sempre che voglia dire qualcosa affermare questo, a me sembra una cagata alla Emilio Fede) e che fa più o meno film sempre uguali. Sarò ben lieto di verificare entrambe queste ipotesi o qualsiasi cosa siano. Ma più che occuparmi, se non in due righe come ho fatto, di queste puttanate, veniamo a ciò che conta, al succo: il film.

“It's a free world...” è datato 2007, il soggetto e la sceneggiatura sono opera di Paul Laverty. La vicenda si sviluppa come una spirale, cioè se consideriamo uno spazio a tre dimensioni x, y e z avremo che, a un certo punto, la nostra funzione, che nella metafora è la vicenda, arriva a un punto che ha le medesime coordinate x ed y ma ha subito un Δz e questa variazione avviene in Angie, la protagonista interpretata da un ottima (e spero di non essere fuorviato da parametri puramente estetici) quanto sconosciuta Kierston Wareing. Per tradurre le mie elucubrazioni matematiche, il film inizia e finisce con la protagonista che si trova a fare esattamente le stesse cose, ma in una posizione e con uno stato d'animo profondamente differenti.

Angie è una ragazza madre, una precaria che si trova nella posizione paradossale di dare impiego precario ad altri, cioè lavora per un'agenzia di collocamento. Il suo lavoro consiste nel viaggiare in paesi ad alto tasso di disoccupazione (Ucraina, Polonia ecc. ecc.) per reclutare lavoratori da portare in patria, l'Inghilterra. Il suo licenziamento immotivato condito con i debiti e una buona dose di frustrazione porta Angie a mettere in piedi insieme all'amica (laureata) Rose una propria agenzia al di fuori della legalità cioè esentasse e spregiudicata. Ma non mi dilungo troppo sulla trama.

Sullo sfondo, ma neanche troppo, vediamo il mondo degli operai stranieri e di chi li sfrutta. In primo piano abbiamo invece Angie appunto, un essere umano, un'ipocrita, una persona che ha bisogno di uscire dalla merda in cui si trova e che per riuscire fa leva su chi sta più in basso di lei e nel medesimo tempo si convince di non star facendo niente di male, “lo fanno tutti” e in fondo lei sta dando una possibilità, un lavoro a quelle povere persone. Ma questa convinzione, come ogni piccolo barlume di solidarietà (comunque ipocrita) in lei svaniscono mano a mano che i soldi, le minacce e le ferite sul suo viso e sul suo corpo aumentano. Angie diverrà spietata (badate, non quella sana e sincera spietatezza da Col. Kurtz di "Apocalypse Now", ma una spietatezza comunque ipocrita) come quei pezzi di merda che l'avevano licenziata all'inizio e continuerà (o meglio, porterà avanti in parallelo a quelli) il loro sporco lavoro, una trasformazione da vittima a carnefice, un carnefice che non si pone più problemi morali, semplicemente accetta che è così che va questo “mondo libero”, o mangi o vieni mangiato.

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