"Aha Shake Heartbreak" dei Kings Of Leon è il seguito del buon esordio "Young And Youth Manhood", acclamato dalla critica ed obiettivamente titolare di ottimi pezzi come "Trani", "California Waiting" e soprattutto "Red Morning Light".

Per dare continuità al lavoro svolto nel primo lp, i Followill optano per il non stravolgere la "formuletta magica" che tanto successo ha fornito al primo colpo e si ripresentano sul mercato con un singoletto come "The Bucket", perfetto in durata (due minuti e cinquantanove secchi secchi) e sound, certo debitore a Strokes ed affini ma pure splendidamente accattivante e comunque "sospettosamente modaiolo".

Per fortuna i K.O.L. non sono solo schitarrate vintage, e già nel precedente full lenght lo avevano dimostrato alternando batteria in levare e chitarrine pungenti a stupendi lenti intrisi nei seventies più sporchi, dove la voce di Caleb poteva finalmente tirar fuori gli artigli e graffiare.

Qua lo fanno francamente in maniera meno convincente, ma non per questo non vi riescono; "Milk", tanto per fare un esempio, o la più lineare "Day Old Blues", sono buone prove in tal senso. Altrove, la lezione "rock 'n roll da tre minuti scarsi" è messa in pratica bene soprattutto nella spassosa "Four Kicks" (evidente retaggio di anni passati a sentire i dischi degli Stones nell'auto di papà) e nelle chiaramente strokesiane "Velvet Snow" (il pezzo che più richiama il modus operandi dell'esordio) e "King Of The Rodeo" (più ragionata e meno istintiva, fors'anche più curata). L'opener "Slow Night, So Long" è buona ma non arriva ai livelli di "Red Morning Light" (impossibile) e parte decisa per poi "spettinarsi" troppo nel finale, mentre la chiusura è affidata alle chitarre sporche di "Where Nobody Knows".

Questo "Aha..." è quindi un buon album, che conferma qualità e defaillances espresse nel pur piacevole esordio e, perbacco, può star bene anche così.

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