Ero proprio curioso di vedere dal vivo i quattro neohippy rockettari di Nashville, e come il sottoscritto anche molta altra gente, dal momento che il locale è abbastanza gremito. Dopo una mezz’ora di attesa alcolica finalmente si svela il giallo del gruppo di supporto; inizialmente pareva dovessero fare da spalla i Thrills, ma per non so quale fortunata quanto mai opportuna ragione hanno deciso di suonare per conto loro un paio di giorni prima, risparmiandomi così un’altra fila al bancone. Spazio allora ai Jet, come indicato sul biglietto di ingresso.
Quando mi aspettavo quattro sbarbati sul palco, arriva invece una fanciulla dal sorriso angelico che candidamente dichiara di essere tale Regina Spektor, stasera in veste di supporter. Detto ciò impugna il microfono e si cimenta in un assolo, la voce è calda e sensuale, gradevole; si siede quindi alle tastiere e incrocia quattro note, sulle quali improvvisa alcune ballate folk, accompagnandosi con una bacchetta di batteria su uno sgabello. Dalla prima fila arriva un apprezzamento quanto mai diretto alla persona, la musica si interrompe e la dolce e soave fanciulla risponde con un sonoro “fuck off”… quindi riprende a cantare, sorridendo, tra gli applausi. La ragazza non solo ha carattere ma anche spirito d’osservazione: non appena intravede i primi sintomi di narcolessia tra il pubblico cede la scena ai tre fratelli, più cugino, del Tennessee.
Un jingle country li accompagna sul palco, il look è tutto rigorosamente baffuto e capellone, come da copione. L’attacco è con “Red Morning Light”, leggermente rallentata rispetto all’originale e quindi meno frizzante, peccato. Meglio con le seguenti “Wasted Time” e “Spiral Staircase”, grezze e dirette quanto basta, sulle quali la voce roca e squillante di Caleb è protagonista. Spazio quindi per i pezzi forti “Holy Roller Novocaine” e “Molly’s Chambers”: l’impasto country-rock-garage che ne viene fuori scorre vivo ed elettrizzante fino alle conclusive “Happy Alone” e “Trani”. Una dozzina circa di pezzi in tutto, poi i quattro salutano e se ne vanno.
Si accendono le luci, nessun bis. Qualche fischio, alcune facce deluse; 50 minuti, se pur scoppiettanti e tirati, sono sempre pochi per un concerto. Che dire, con un solo album all’attivo non si poteva pretendere certo una maratona… ma un paio di pezzi in più, anche solo un misero bis, avrebbero fatto meritare gli applausi trattenuti nel finale.
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