Questa salsamerenghizzazzione di tutto lo scibile ascoltabile ha raggiunto ormai vette di allucinazione impensabili fino a ieri. Pazienza per le operazioni simil commerciali delle canzoni dei Radiohead (vedere il disco Radiodread qui ribatezzati per l'occasione Radiodread) rifatte, appunto, con congas in salsa merengue e raegge o i Coldplay e i Pink Floyd rimaneggiati con lo stesso trattamento, che fan di per se già accapponare la pelle per la sacrilega operazione.

Niente da fare. La macchina-schiaccia-sassi cubana ha trovato nuova benzina per il suoi motore. Ecco difatti questo "Mozart Meets Cuba" (2005) dove, dal titolo stesso, si evince che stavolta a rimetterci le penne è il compianto genietto di musica classica e operistica più apprezzato al mondo.
Stride e fa abbastanza senso sentire “Il Flauto Magico” ripreso dai ritmi caraibici con tanto di stacchetti ad hoc, o la “Sonata in C Minore K457” (ribatezata qui “Guantanameritmo”!!!) fare il verso ai ritmi dolenti cubani inseriti in maniera esageratamente forzata.
Insomma, c’è di che starsene la ore a carponi sul water a vomitare per questo scempio assolutamente gratuito, frutto di quella “strana e illogica allegria” (direbbe il Signor G) che da un po’ di anni tende ad omologare e mischiare le cose più disparate all’insegna della Novità ad ogni costo.
Novità create a tavolino per compiacere mercati ormai disposti a ingurgitare e frullar qualsiasi cosa pur di vendere ancora manciate di CD in un mercato ormai al collasso. Dieci anni fa era la New Age a frullare le menti di Juppyes bolliti al ritorno dal lavoro, oggi evidentemente questo compito spetta alla Musica Salsa & Merengue, evidentemente... più disimpegnata e, se vogliamo dirla tutta, decisamente più ignorantona.

Certi pezzi sono anche curiosi e ben suonati, con belle partiture ricchi di stacchi precisi e sincopati degni del miglior groove, sia mai… ossia il livello tecnico e di arrangiamento è pur lodevole, solo che alla fine del disco in questione resta una strana delusione per aver ascoltato un qualcosa che non sta da nessuna parte, un ibrido informe come certi sufflè montati da Woody Allen agli esordi della sua carriera, con questo assurdo connubio che suona, in molte parti, esageratamente forzato e costruito a tal punto da risultare irritante per non dire “demenziale”. Va bene il Melting Pop e il Crossover, le contaminazioni intelligenti sono probabilmente l’unica frontiera ancora esplorabile nell'ambito della musica contemporanea ma quando si cerca di accostare insieme mondi di per sé lontanissimi (in questo caso la delicata armonia di certe suite barocche di arie indimenticabili di fine ‘700 con l’ingenua solarità danzereccia del popolo caraibico) i risultati non possono che lasciarci interdetti.

Aspettiamoci di questo passo Keith Jarrett rappato dar Piotta, la Tebaldi ricampionata su poliritmiche africane o Pavarotti (pace all’anima sua) remixato dai Kruder & Dorfmeister. Su questo fronte Sting e la sua ultima ninna nanna soporifera classica hanno già sfondato la porta...

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