A CAMPAGNANO di ROMA: recital del pianista KONSTANTIN BOGINO 

Ho sempre pensato che fosse scritto nelle stelle che una volta diplomata dovessi studiare  con un russo; Puskin e Pasternak,Gogol e Dostoevskj, il loro mondo era il mio di ragazzina, e poi mi è toccato in sorte il nome Vera, e da bambina spiegavo sempre "E' un nome russo, significa Fede" e la prima insegnante del mio Maestro di Conservatorio si chiamava così, e anche quella del mio attuale Maestro e mèntore musicale, Konstantin Bogino appunto.
Era scritto nelle stelle, e se non fosse stato scritto, probabilmente oggi non conoscerei la gioia e il divertimento del suonare, e la fatica sostenuta sempre dalla fiducia nelle proprie capacità da parte di un musicista che ha avuto in dono anche la grande capacità di trasmettere la propria visione della musica senza mai imporla, piuttosto guidando quella degli allievi; certamente guidando la mia: da uno scarabocchio un disegno finito. E' così che lo conosco io e venerdi sera non mi ha deluso, per la verità  non mi ha deluso mai quando in passato l'ho ascoltato suonare da solo e con il trio Tchaikovski di cui da sempre è membro, ma questa volta è stato davvero strepitoso.E lo dico tacitianamente "sine ira et studio", soprattutto "sine studio", senza partigianerie di sorta.

E' stato come viaggiare, come sognare guidati dall'immaginazione vitale e creativa di un pianista che parla e lo fa in modo piano, semplice, con la profondità che solo un bambino può avere. Geniale, proteiforme, con un suono ora potente e denso, ora dolce e morbido capace di creare tensione emotiva, di sostanziare la musica. E la musica si è fatta immagine  prendendo la forma del sentimento che l'ha generata; e così, i lugubri rintocchi di campana che segnano l'inizio della marcia funebre per i caduti della rivoluzione ungherese del 1849 di Funerailles di Liszt, e in un attimo mi sono ritrovata DENTRO quella Musica di cui Bogino ha voluto sottolineare l'aspetto di compianto e rimpianto e poi cupa rassegnazione. Poetica e toccante la parte centrale quanto vigorosa per la capacità di aprire progressivamente la sonorità della geniale citazione della Polacca eroica di Chopin; ed è stato davvero un peccato che l'acustica generosa della Chiesa di San Giovanni non abbia reso sempre chiaramente percepibili i cambi di armonie, la scala tipica della musica ungherese con i suoi intervalli di seconda aumentata  che creano tensione e suonano esotici al nostro orecchio poco avvezzo.

E poi, dal pianto al riso che veloce tramuta di nuovo in pianto, di bambino stavolta, attraverso le Kinderszenen di Schumann e il Children's Corner di Debussy ; è stato come una danza, un battito d'ali, il raccontare di sogni e la stanza di bambini ha preso forma: il modo di suonare libero, rilassato ma meticoloso ed attento, assorto come il giocare dei bambini è diventato il cavallo di legno, la mosca cieca, la felicità improvvisa; e poi l'ansia per le novità dell'"importante avvenimento" reso con il rigore solenne di un sentire percettivo infantile, e le paure e il velo di pensosità improvvisa di "Quasi troppo serio",fino a scemare nei sogni cullanti di "il bambino si addormenta".

Plasticità pensavo tra le emozioni del ‘come se'.

‘Come se avessi suonato io';

‘Come se' avessi vissuto io le emozioni di bambino;

‘Come se' davvero avessi potuto udire parole nelle note di ‘Parla il Poeta' che chiude le Kinderszenen e ne è al tempo stesso chiave di lettura.

Plasticità è la parola che più spesso sento pronunciare da Bogino nelle sue lezioni, che è duttilità, capacità di ‘creare' il suono e ‘attraverso' il suono, di dare voce e forma alle emozioni ed ai sentimenti, senza condizionamenti ed in modo assolutamente gratuito.

Lui suona così. ‘E'' la musica che è chiamato a suonare eppure non è mai teatrale in questo, tutto fluisce in modo naturale, senza spezzature né nella condotta delle frasi nè nel ritmo, tutto suona vero ed immediato, diretto, quindi, convincente.

La sensazione che ogni cosa sia proprio lì dove deve essere, al suo posto e che quel posto sia ‘casa'. E dalle ‘Scene' così tangibili di Schumann agli schizzi di puro colore e timbro di Debussy, immagini svincolate dal Tempo che si susseguono l'una dopo l'altra; dall'ironia dissacrante del Gradus ad Parnassum di Clementi nel ‘Doctor Gradus ad Parnassum' attraverso la danza pesante di ‘Jumbo's lullaby' sino al Golliwogg's che chiude la suite.

Ironia e senso dell' effimero, sorriso ed amarezza, Bogino, versatile ed originale, non smette di raccontare storie. La plasticità che ha dato forma al raccontare poetico di Schumann' si è metamorfosata nell'impressione fugace di un narrare proustiano.

E quando la Musica viene trasmessa così, allora non ti importa più del riverbero di una acustica non perfetta, del pianoforte troppo piccolo, e neanche se ‘the snow is dancing'del Children's corner è diventata una tempesta paragonabile a Chasse neige di Liszt o se 'sul cavallo di legno' delle Kinderszenen il dondolare si è trasformato nella velocità folle di un assalto al fortino.

Chi ha pratica del suonare, riconosce quelle che sono scelte date dal gusto da quelle che invece sono un naturale ed umano ‘lasciarsi prendere la mano'. Ma una grande lezione. Davvero la più grande.

Quando ‘hai la musica dentro', è lì, c'è, e nessuno potrà mai toccarla o togliertela ma al tempo stesso non potrai fare a meno di lasciarla fluire e condividerla.

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