ZIMERMAN, ZIMERMAN, AMORE MIO
ERA il 1975, lui vinceva lo "Chopin" ed io ero davvero appena nata; la sua carriera ha toccato la mia vita, una specie di cometa dalla scia luminosissima che entrava e si rifletteva nello scorrere dei miei anni di studio. Lui era passionale ed esprimeva attraverso il pianoforte le emozioni forti che la mia adolescenza non riusciva a definire, a contenere. Originale senza essere provocatorio, capace di cambiar faccia, stile, persino personalità all'interno dello stesso brano, raffinato nel gusto e nella capacità di variare il timbro. Lo ZIMERMAN ventenne rappresentava il "nuovo" con la sua grande voglia di suonare, di dare. Ed era bello.
Bello e affascinante lo è tuttora per la verità, ma nel tempo il suo pianismo è cambiato e da tempo ormai viene definito "pianista della perfezione" ...io direi del controllo quasi perfetto. Misura, equilibrio, controllo, cura , raffinatezza estrema, gusto: un perfetto oratore, quello cioè capace di persuadere con la nuda ma coerente presentazione dei fatti, quello capace di CON-VINCERE e vincere.
La verità? L'Autenticità? Non sono importanti.
Non è una critica la mia, e forse neanche una vera recensione al concerto che ieri sera ho ascoltato al Parco della Musica: le note della 2° Partita di Bach, in do minore, sono trapassate fino ad intrecciarsi in una linea di rigorosa, severa continuità, in quelle della magistrale op111 di Beethoven, non un caso, do minore; il polistilismo dell'accostamento delle danze di Bach diverse per tradizione e carattere, che convive in un cerchio perfetto, con la sonata-non sonata di Beethoven, quella che, polimorfa e cangiante con un tema fugato e severo, preminente su tutto, nega e frantuma la Sonata in quanto Forma.
La fuga e la polifonia evidente, percepibile di Bach accanto a quella sottile, riscoperta nascosta ma percepibile di Beethoven.
I Pianisti, gli interpreti, vivono anche nei programmi, ed i programmi li riflettono come specchi; e così deve essere.
Esecuzione rigorosa, nitida,chiara, briosa poi meditativa al punto giusto, ma manca il brivido del suono che tocca la pelle, dell'emozione condivisa, della voglia del costruire con il pubblico e attraverso il pubblico, manca l'emozione del contatto.
A me manca. Tutto è calibrato. Zimerman "concede" qualcosa, ma non si svela, tantomeno dà.
Ed io credo di preferire gran lunga il pianista di qualche anno fa, impetuoso, tumultuoso e comunicativo, toccante, talvolta pure falloso, e di preferirlo a questo pianismo raffinato dove assolutamente tutto è pensato, nulla è lasciato al caso, persino il momento in cui far provare quel po' di dovuta emozione al pubblico in visibilio;
...ascolto e penso che anche questo è un approccio alla musica,
cerebrale? intellettualistico? qualunque sia la matrice, anche questa lettura va accolta, se non altro perché alla fine riesce a risultare convincente... eppure, c'è qualcosa in me che come musicista e come persona si ribella e si agita.
Rivoglio il mio Zimerman.
Ho bisogno di sentirmi coinvolta nell'ascolto, di vibrare, di fremere e non di ascoltare qualcosa con l'attenzione di chi legge un trattato di logica.
Bravura, carattere, dizione mi "interessano", non mi toccano.
Solo nell'op 58 di Chopin riesce davvero a comunicarmi qualcosa che non sia ammirazione e interesse, a trascinarmi vorticosamente nel procedere incessante della coda che conclude la sonata.
Sarà stato il MIO Zimerman, quello dei miei ricordi e sogni di ragazzina, o piuttosto, ancora una volta, tutto è stato previsto, studiato e programmato?
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