A distanza di dodici anni i Labyrinth hanno deciso di dare un seguito a "Return to heaven denied"; vero è che, come per "Send me an angel" dei colleghi Vision Divine, la notizia raggiunge i fan come un fulmine a ciel sereno, non risparmiando neanche le perplessità circa la riuscita dell'impresa che (nonostante ripetere lo stesso successo del primo capitolo fosse probabilmente chiedere troppo), bisogna riconoscere, i nostri hanno intrapreso in modo convincente, almeno tanto da dissipare l'ipotesi di un tentativo lezioso di ingraziarsi nuovamente un frangia di fan dopo il non eccessivamente acclamato "Six days to nowhere".

 Dicevamo tentativo convincente, e a spiegazione di questo risaltano su tutte la ballad che dà il sottotitolo al disco, e "In this void". Della prima si dica che non è diversa dalle altre ballad presenti in tutti i precedenti dischi, e lo si considerarsi un punto di forza e uno dei marchi di fabbrica per Tiranti (come dimenticare A star in the universe?), così come lo erano per gli Scorpions. In questa occasione è poi anche apprezzabile l'apporto moderato di Thorsen. L'ottima "In this void" sospende invece felicemente fra ballad e sprint dello straziante refrein; come accade anche per la canzone successiva che coaudiva nel chiudere il disco in controtendenza rispetto alla prima parte. Per quanto riguarda le altre tracce possiamo chiaramente parlare di un riavvicinamento alle sonorità del primo capitolo, con accurati esploit tecnici da parte soprattutto di Thorsen (dal quale sarebbe interessante sapere come mai decida di affibbiarsi due nomi diversi e comparire con entrambi in parti diverse del booklet), e con ritmiche incalzanti da parte del rinforzo di lusso per l'occasione Alessandro Bissa, pur non mancando ovviamente gli spunti più quieti ben visibili soprattutto nella terza traccia, che ha anche il merito di riprendere qualche lirica della meravigliosa "The night of dreams". In rapporto al precendente capitolo però si nota anche come le melodie siano nel complesso cadenzate in modo meno incisivo, e altrettanto dicasi dei testi (sebbene anche questi siano un marchio di fabbrica del gruppo) almeno fino a "To Where we belong", che in compenso alle orecchie di alcuni suonerà per certe strofe di già sentito. A parte questo appunto il disco scorre in modo direi canonico per quelli che sono gli alti standard della band, dando riprova che merita il riconoscimento finora acquisito e la posizione di testa di serie nella scena italiana insieme ai Vision Divine.

Ultima nota di merito spetta alla performance al microfono di Tiranti, vero talento, nella cui fattispecie potremmo anche aggiungere incompreso, considerati i reiterati tentativi di sfondare nello showbiz puntualmente frustrati dall'ignoranza del grande pubblico in termini di capacità canore e comunicative che ormai non sorprende più neanche l'ultimo arrivato degli appassionati Metal.

Per concludere la disamina è da ribadire l'inferiorità del disco rispetto alla pietra miliare del genere "Return To heaven denied", pur attestandosi saldamente all'interno di standard più che dignitosi.

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