A braccia aperte... lasciate che questo disco vi accolga a braccia aperte e fatevi trasportare in un viaggio svoltosi secoli fa tra Venezia e Parigi: questo è "Sons Of Thunder", terzo capitolo (ed ultimo con Olaf Thorsen) della storia dei nostrani Labyrinth.
L'album è basato sulla storia di Luigi XIV, siamo nel 1679 ed è proprio questo, che dopo aver visto il ritratto della giovane Kathryn, figlia del Doge di Venezia, se ne innamora follemente: detta così, il concept potrebbe sembrare poco interessante, ma vi assicuro che grazie ad un'ottima capacità di scrivere testi e musiche di eccellente qualità, i nostri sei riescono ad offrirci un prodotto di qualità superiore.
Diviso in 10 tracce, l'album si muove sulle tanto care coordinate power/prog che caratterizzarono tutta la prima produzione labyrinthiana fino al definitivo split con Thorsen, ma andiamo a descrivere le tracce: Il disco si apre con "Chapter 1", song che parte con un' introduzione parlata (si presume che la voce reciti la parte del re Sole), alla quale si attacca la vera e propria song, che si muove su lidi speed/prog e si presenta ricca di soli, tappeti di doppia cassa, cambi di tempo e tutti quegli elementi che tanta fama portarono alla band con RTHD, ai quali si aggiunge la bellissima e cristallina voce di Roberto Tiranti. Si passa dopo la prima song, alla bellissima "Kathryn", che parte con un solo di basso al quale si vanno ad unire tutti gli strumenti che danno vita ad uno dei migliori episodi del disco: la song infatti si presenta varia nella sua forma, alternando parti aggressive ad altre più delicate, come ad esempio lo splendido ritornello. Curatissima ancora una volta la parte strumentale, con un grandissimo Mat alla batteria, che va a comporre una sezione ritmica di grande effetto. Arriviamo così alla title-track, song particolarmente affascinante nella quale la voce di Roberto sovrasta tutto e tutti, accompagnato da una base sonora minacciosa e veloce, ricca di cambi di tempo e cori decisamente piacevoli. Fantastico ancora una volta il ritornello, che si attacca alla strofa in maniera particolarissima, quasi fosse sospeso in aria. Unici in quanto a bellezza anche i solos eseguiti da chitarra e tastiera che sembrano inseguirsi in sezioni velocissime ed altrettanto precise. La track numero 4, "Elegy", è quella che meno di tutte mi ha entusiasmato, a causa di una melodia portante un pò troppo banalotta. Passiamo alle 5° song e torniamo ad alti livelli, con "Behind The Mask", i Labyrinth ci mostrano quanto elevate siano le loro capacità tecniche, andando a comporre una canzone dove velocità e precisione risultano essere le colonne portanti della traccia. Ottima la melodia, con delle tastiere messe in primo piano, che rendono l'ascolto della song più variegato. Splendide ancora una volta le linee vocali di Tiranti, che supera se stesso andando a prendere note molto alte con una facilità e con un teatralità degna di ben pochi cantanti. "Touch The Rainbow", è un'altra fantastica power/prog song, che tra chitarre acustiche e altre elettriche, scorre via che è un piacere, grazie all'apporto dato dal singer preciso come al solito, ma anche grazie al fantastico lavoro di Breeze (certo che se non avessero mai adottato quei nick-name sarebbero stati perfetti) e di Mat, che rendono la song veramente interessante. "Rage Of The King" è l'alta song che mi lascia abbastanza indifferente all'ascolto a causa di una freddezza emozionale, che a mio parere risulta unica; bellissima è invece "Save Me", un pezzo che si trova a metà strada tra una sparatissima speed song ed una dolce ballad nell' intro, ma che poi esplode in una carica energetica veramente unica, andando ad esplorare territori al limite dell'epic, sostenuta però da tastiere dal forte gusto futurista. Si passa così alla dolce (ma non troppo bella) "Love", che ci mostra il lato più delicato del metal: la song pur non essendo particolarmente brillante, ci mostra la capacità vocali/teatrali del bravissimo singer (scusate so di ripetermi, ma purtoppo è vero... Roberto è troppo bravo), che va a disegnare delle songanti nonchè fascinose linee vocali. Una buona canzone ma nulla di più, che ci conduce all'ultima track, nonchè pezzo classico della musica italiana: "Ti Sento" dei Matia Bazar, qui riproposta in versione inglese ("I Feel You") che poco si distacca dalla già bellissima canzone di partenza. Da lodare la volontà di mantenere in italiano la frase "mi ami o no", composta dalle parole portanti della canzone.
In definitiva il disco in questione è sicuramente un gran bel prodotto, penalizzato da due song non proprio all'altezza, ma anche da una produzione veramente pessima, che non aiutò a far sbocciare la vera bellezza dell'album, e questo fu ed è un vero peccato.
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