Se c'è una cosa che odio del pensiero comune è quella frase sparata a salve su molta arte contemporanea. Quel "lo sapevo fare anche io" che è a metà tra ignoranza e spocchia snob, detta spesso da frequentatori abituali dei circuiti d'arte perché "andare a vedere una mostra dà un tono". Come ogni cosa, anche l'arte è destinata ad un'evoluzione. Sono ormai ere che è chiaro che l'arte non si limita al solo dipinto. Grandi artisti contemporanei - come Piero Manzoni e Marcel Duchamp - hanno approfondito ulteriormente il concetto, sostenendo come fosse basilare -prima ancora dell'opera- l'azione e il procedimento artistico.

Autori come Claes Oldenburg (oltre che il già citato Manzoni) hanno ragionato sul concetto di vendibilità dell'arte: con autoironia hanno dimostrato che qualsiasi cosa, se definita arte, potrà essere venduta.

Su questo concetto si basa anche (involontariamente, però) l'invisibile art di Lana Newstorm. Involontariamente perché non c'è un atto artistico vero e proprio, di nessuna specie, neanche teorico. L'artista cerca dimostrare che in quel vuoto c'è della materia, passando per folle o semplicemente un'abile manipolatrice (imperdibile la presentazione della mostra, in cui l'artefice di questo nulla ha scatenato il panico affermando che una sua opera è stata rubata). Sono opere d'arte invisibili, dunque: ci sono, ma non si vedono né si toccano. Eppure si possono comprare, a cifre astronomiche.

Veniamo ora al dunque: per quanto ci si possa scervellare, trovo impossibile difendere il lavoro della Newstorm. Siamo di fronte ad un plagio involontario: Yves Klein con "Le Vide" ha già dimostrato che l'uomo non può affrontare con raziocinio l'ignoto, l'invisibile: è scioccante vedere un museo spoglio. Si potrebbe anche richiamare il movimento fluxus, con il "4.33" di John Cage o, ancora, le opere di Yoko Ono. Si potrebbe, e non è un caso che tutte questi interventi artistici importanti storicamente appartengano ad un passato remoto.

Nel primo paragrafo affermavo di come l'arte ha la necessità di evolversi, che fermarsi al solo quadro non ha senso. E cosa c'è di innovativo nell'invisibile art di Lana Newstorm? Assolutamente nulla. Né a livello concettuale e né come spunti di riflessione. Il tutto suona come una paraculata, un pretesto imperdonabile di nascondersi dietro la faciloneria del "Ora si può vendere qualsiasi cosa."

Era un concetto che poteva funzionare nella prima metà del ventesimo secolo. non ora. Nel ventunesimo secolo possono trovare posto l'arte kitsch di Jeff Koons, lo studio della cultura americana nelle ibridazioni cinema/videoarte di Matthew Barney e molto altro, non certo questa cosetta. Una cosetta di cattivo gusto, se posso dirlo: è la prima volta che mi trovo davanti ad un'opera che sembra veramente derivata da una riflessione di dieci secondi appena svegli, del tipo "toh! faccio così!".

Inutile, triste, insignificante.

Ma qualcuno che ci casca c'è sempre.

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