"Nymphomaniac è un porno di quattro ore. Lunga vita a Lars Von Trier."

Nulla di più falso.

Ma andiamo con ordine: evitiamo di parlare di quelle cose superflue che fanno parte comunque del progetto di uno dei pochi autori ad essere contemporaneamente dei veri maestri del marketing. Quindi togliamoci dalla testa le (geniali) locandine orgasmanti, le ambigue parentesi, i teaser diffusi con largo anticipo, le minacce della censura, una presunta versione hard da cinque ore e mezzo. Sono tutte cose che aggiungono pepe ma che muoiono una volta che il film vede la luce e per questo poco mi interessa trattarle.

Lars Von Trier è un quattordicenne con il corpo robusto di un adulto con crisi di mezza età. Ha un talento visivo straordinario (che lo amiate o lo detestiate, non potete negarlo), ma allo stesso tempo ama giocare con il pubblico, strizzandogli l'occhio oppure prendendolo volgarmente per il culo.
In "Nymphomaniac" Von Trier non ha il timore di celare la sua attitudine di ragazzino neanche per un secondo: è un kolossal naif di quattro ore che ti accoglie con un raffinato pianosequenza di silenzi per poi spiattellarti in faccia i Rammstein con la stessa urgenza di un bambino incazzato con il mondo che dipinge la sua stanzetta di nero. Non ha il terrore di autocitarsi all'infinito, non per sé stesso ma, appunto, per il suo pubblico che riesce a riconoscerlo, che è conscio di essere caduto nella trappola: il bambino che apre il cancelletto del suo lettino e sale sul davanzale ammirando la neve che cade non vi ricorda qualcosa? Von Trier è un bambino che si piace e qui è finalmente sincero: dimenticati gli estetismi di "Melancholia" (che, comunque, insieme ad "Antichrist" e "Dogville" è tra i suoi film più citati in questo "Nymphomaniac"), il nostro amato amicone danese torna a sperimentare. Il pubblico diventa, inconsapevole, complice. E, paradossalmente, è complice attivo (anzi, no: è vittima) in un film solipsistico che l'autore, fondamentalmente, ha girato per sé stesso.

E che cazzo, ne esce fuori una bomba.

Partiamo con la scelta di dividere, per le sale, il film in due parti (che io ho visto di fila): il tentativo è quello di creare un astinenza (chiara e specifica, affine a quella sessuale) e non è un caso che il primo volume si chiuda con un "Non sento niente". Von Trier ti vuole far provare le stesse sensazioni: la frustrazione di non sentire niente e di voler di più, vuole farti diventare Joe nel suo percorso autodistruttivo. Ma se lei soffre nel sesso, tu, spettatore, soffri nel cinema.

"Ogni protagonista femminile di un suo film, in verità, è Lars stesso" ha detto Charlotte Gainsbourg in una recente intervista. Lei, prima e vera musa ispiratrice dell'autore danese, suo alter-ego femmineo, incarna un ruolo ancora più difficile qui: Charlotte Gainsbourg incarna Joe che incarna Lars Von Trier. E questo ce lo fanno capire i dialoghi stessi: quanti di voi che hanno visto il film non hanno pensato almeno una volta che le parole della protagonista sembrano uscire dalla bocca di Trier in una qualsiasi conferenza cinematografica? Perché "Nymphomaniac" tratta di sesso non come mero saggio sulla sessualità o come atto del provocare (e da qui la delusione di molti), ma perché la perversione dell'uomo porta anche il più puro a vedere il sesso in ogni minima cosa. Ecco che, quindi, il percorso autobiografico di Joe, l'istinto, lotta con la cultura (la musica, l'arte, la pesca...) in un continuo succedersi di rimandi, di collisioni e di inquietante equilibrio. Tutto è riconducibile al sesso in un film dove il sesso coincide con il cinema: tutto è cinema.

"Nymphomaniac" è un film straordinariamente complesso: è, prima di tutto, il terzo capitolo della "trilogia della depressione" dove Lars si auto-analizza dopo un lungo periodo di malessere psichico. Come terzo capitolo, anzi, come film, questo è il più sincero.
Non è un film sul sesso, è un film sul cinema, dicevamo. Rappresentazione, incongruenze narrative, rimandi, analogie vengono continuamente esibiti, resi didascalie, discussi.

Joe non riesce a liberarsi dal sesso come Lars non riesce a liberarsi dal cinema.
Il risultato è rozzo, grezzo, ma allo stesso tempo estremamente elegante. Dove la scelta attoriale (straordinari, a questo proposito, Jamie Bell, ex Billy Elliot ridotto a master di sadomaso/santone del sesso e la meravigliosa Uma Thurman che, in due minuti di cameo porta la gloria ad una delle scene più belle del lotto) è funzionale a tutto un universo di tracce e sottotracce, di catartica analisi psicologica.
Un film meno carnale di quanto si preannunciava, dove le quattro ore scorrono con una leggerezza invidiabile: mai un momento di noia e un continuo viaggiare tra generi (dramma, commedia, thriller...) ed intuizioni visive (persino una delle invenzioni più brutte del cinema, ovvero lo split-screen, reso qui ancora più antiestetico, ha una sua forza espressiva) che compongono un serrato ed esplosivo climax.

Un profondo sguardo dentro sé stessi ma, al contempo, un simpatico e violento attacco a chi guarda: "Non interrompere la storia con le tue critiche del cazzo e i tuoi commenti sparati a salve a denunciare un'ipotetica incongruenza. Non criticare un film se non ne hai i mezzi. TU ti sei voluto sedere ad ascoltarmi e ora TU sei tenuto a credere a ciò che ti dico."

L'atteggiamento è, appunto, quello di un ragazzino arrabbiato: è rozzo, è intelligente ma ci fa, non fa paura a nessuno e lo sa, ma ha un cuore grande così. 

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Altre recensioni

Di  LKQ

 "Sono un pessimo essere umano."

 "L'amore è un sentimento fantasma nella vita di Joe: o non c'è oppure, quando c'è, svanisce dolorosamente."


Di  Stregazzurra

 Von Trier affronta l'argomento sesso per seminare in terra fertile il suo consueto nichilismo animalista.

 Se il film fosse durato molto meno, col cast che si ritrova, avrebbe potuto essere, se non godibile, almeno apprezzabile.