C'è quell'inizio in piano elettrico che, almeno sulle prime, ti lascerebbe presagire un ascolto un minimo più convenzionale. Fender Rhodes. Un'apertura in perfetto stile jazz-rock anni '70, ai limiti della citazione: sembra il preludio strumentale di un album della Mahavishnu Orchestra o dei Return To Forever. Ma quello che segue è ben altro. Quasi tre quarti d'ora (parecchio, non c'è dubbio) di allucinazioni e fasci di luce, ad impatto psichedelico MOLTO elevato. Mai giudicare un intero disco dal primo pezzo, specie se si tratta di un semplice riscaldamento e poco più...

... o piuttosto, di un abbozzo alla ricerca dell'atmosfera giusta...

Una volta, Ann Arbor era - musicalmente - altro. La conoscevi perché era la casa di Alice Cooper, di Iggy Pop, di Bob Seger. E naturalmente, dei Motor City Five. Perché siamo pur sempre nel distretto dei motori. Al solo sentire "Ann Arbor" alla TV o a leggerne sulla carta stampata, d'istinto pensavo (almeno io) alle automobili e ai SUONI di quelle parti. Ma ho come la sensazione che nei prossimi anni cominceremo ad associare Ann Arbor al nome di Laurel Halo, nome che la nuova scena elettro-sperimentale americana sta proponendo con insistenza (e credibilità) sempre più alta. Anche se ormai da tempo il Michigan non è più la sua casa, e Manhattan ne ha preso il posto - si sa, il potere attrattivo della metropoli sulle Menti Creative d'ogni estrazione è ben lungi dall'esaurirsi...

L'avevamo lasciata fra diverse incertezze e in un quadro d'insieme abbastanza sfocato, in parte naturale per un'opera prima sul minutaggio lungo - quello dell'album d'esordio "Quarantine", ove la scelta della soluzione voce + elettronica non aveva premiato fino in fondo. Non come ci si poteva aspettare da chi aveva disseminato, alle sue spalle, tracce di un talento precoce difficile da ignorare - i primi EP del biennio 2010//11. "Chance Of Rain" annuncia un cambio netto di stile che poggia sulla rinuncia al canto e (cosa fondamentale) su un'esplorazione ben più larga e approfondita degli spazi sintetici partoriti dalla Psiche della giovane "rumorista". Come se, non dovendosi più concentrare sulla voce, avesse avuto tutto il tempo di dedicarsi - corpo e anima, ma molto CORPO - alla dilatazione ritmica della sua musica e ad una ricerca più matura dei timbri. Con quegli accenti etnico-tribali che fanno di Lei - in prospettiva - un'esponente non trascurabile dello odierno tecno-sciamanesimo. E quella predisposizione visionaria che permette di andare oltre un asettico mix di tempi e campioni. Oltre il puro esercizio. Oltre.

Come il ritmo si dilata per abbracciare soluzioni più complesse, così - di pari passo - è la durata media dei pezzi a dilatarsi. Ovvero: più tempo per sviluppare a fondo le idee (tante) senza rischio di confusione. Ma è musica da apprezzare di puro istinto, prima ancora di capirne le strutture con la mente. Il primo contatto dovrebbe avvenire a queste condizioni. Inutile affannarsi a captare ogni dettaglio al primo ascolto. E' la musica a dover trasportare, non il cervello a dover inquadrare e schematizzare. Almeno all'inizio. Viceversa, il viaggio non comincia.

Ed è un viaggio intricato, quello che parte dalle immagini del papà-pittore di Laurel in copertina - altro stile e altre tonalità rispetto all'Harakiri School Girls" del precedente album; e soprattutto, ben altri SOGGETTI... ed ho amato incontrare questi suoni tenendo conto delle parole di Lei, che - brillante ed intuitiva - definisce i propri pezzi "umorali" e non "romantici", come qualcuno li ha etichettati, dichiarandosi allergica ad ogni parola che abbia a che fare con "romanticismo". Le piace osare, le piace la modernità, le piace sfuggire alle catalogazioni. Ed è sempre difficile catalogare qualcosa che viene dallo stomaco, più che dalla materia grigia. Se "Quarantine" era il frutto delle sperimentazioni di studio, "Chance Of Rain" nasce dall'esperienza dal vivo, dallo sviluppo di sensazioni, dal profondo scavarci dentro.

Per la cronaca: il disco va inteso in due lunghi tronconi separati da un breve intermezzo centrale - "Melt". Una semplice struttura di base su cui si costruiscono architetture ritmiche complesse, colonne sonore per danze tribali, techno-pulsazioni ossessive. Un vortice di emozioni tradotto in suono. Una pioggia acida d'elettricità visionaria che non lascia molto spazio a spiegazioni razionali.

Laurel l'ha descritto così: "It's very, very difficult to talk about"...

E non saprei usare parole migliori delle sue... 

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