Erano passati dieci anni dall'approdo a New York del diciannovenne Lee Morgan da Philadelphia. Era il 1957 quando Dizzy Gillespie, che aveva avuto modo di conoscere un giovanissimo Lee Morgan quando lo stesso Dizzy passava da Philadelphia, manda a Morgan i soldi per il biglietto, affinchè potesse raggiungerlo nella Grande Mela e provare a fare il grande salto.

Fu così che Morgan entrò nella band di Gillespie e nello stesso tempo anche nel giro che conta. Morgan arrivava con una buona fama che lo precedeva: una fama che non aspettava altro che la prima occasione nella quale poteva essere consacrata, e di fatto la prima consacrazione avvenne una serata al Birdland, in cui, a detta di Nat Hentoff, famoso critico Jazz e che si trovava tra il pubblico, Lee dette vita ad un assolo in "A Night in Tunisia" di Gillespie che a detta dello stesso Hentoff, lasciò letteralmente senza fiato i presenti. Dieci anni che hanno visto conclamare il talento di questo straordinario trombettista morto a soli 33 anni nel 1972 per mano (armata) della sua donna.

Il 1967, anno in cui vide la luce "The Procrastinator", è stato anche un anno socialmente tumultoso, cosa che non lascerà indifferente la sensibilità di Morgan e che lo porterà ad impegnarsi proprio in quegli anni; cosa che comunque non aveva un chè di estemporaneo e senza radici, poichè Morgan era nato in una famiglia dal forte impegno sociale, politico e religioso. Sul versante musicale, l'Hard Bop, movimento che aveva visto in Morgan uno dei suoi migliori rappresentanti, era ormai al tramonto; tramonto che non mancherà comunque di dare dei colpi di coda i quali, seppur non annoverati tra i classici del genere, regaleranno comunque dei buonissimi dischi.

Questo disco, in primis, oltre ad essere targato Blue Note, ha come garanti i compagni di cordata di Morgan: Wayne Shorter al sassofono tenore (ormai al giro di boa con il secondo quintetto di Miles Davis e pronto a proiettarsi alle sperimentazioni Jazz/Rock e Fusion che verranno poco dopo), Herbie Hancock al pianoforte (pressochè situazione analoga a quella Shorter), Bobby Hutcherson al vibrafono, Ron Carter al contrabbasso (anche lui in arrivo dalla corte di Davis) e Billy Higgins alla batteria. L'apertura del disco è affidata a "The Procrastinator", un pezzo (firmato da Morgan) melodicamente molto particolare che esula dai canoni del genere, anche perchè il vibrafono (strumento che ha segnato l'adolescenza di Morgan, poichè prima di prendere in mano la tromba, rimase affascinato dal vibrafono, strumento sicuramente meno "accessibile" della tromba, e proprio per questo abbandonato a favore della tromba stessa) di Hutcherson ha un ruolo molto particolare nel contesto del pezzo, e poichè il vibrafono non è uno strumento storicamente presente in àmbito Hard Bop, la particolarità è l'elemento che contraddistingue l'evoluzione del brano. Il brano è l'emblema del disco, la prova di Shorter è muscolosa, ricca, carica, tipicamente Hard Bop. Il vibrafono di Hutcherson, invece, da' al tema un suono etereo, ipnotico, quasi come una nenia, e tema sul quale Morgan e Shorter tesseranno sapientemente le loro frasi. D'altro canto, Hancock darà vita ad una prova affine e parallela, soprattutto nelle battute finali, con un fraseggio onirico, favolistico, enigmatico, per un finale che, non so perchè, mi ricorda certe atmosfere di "Strange Days" dei Doors; album curiosamente uscito proprio nel 1967 come "The Procrastinator".

"Party Time" invece ci riporta su dei binari più canonici, un pezzo che apre ad un Blues con un tema dagli accenti secchi. Shorter, da fine autore quale è, porterà la sua penna a firmare un gioiellino esotico e soffuso, ovvero "Rio", terreno fertile sul quale lo stesso Shorter e Morgan danno vita ad un lirismo liscio, soffice e lineare, ma nello stesso tempo sontuoso.

"The Procrastinator" è un gran bel disco di Lee Morgan, e per questo non deve mancare.

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