Non fraintendetemi. Non sono un appassionato cultore del cinema francese ma per una pura, banalissima casualità mi ritrovo a recensire, dopo il lavoro di Ozon, un film diretto e scritto da Alexandre Oscar Dupont, meglio noto come Leos Carax. Il suo esordio è datato 1983, il cortometraggio "Boy meets girl" che gli valse le lodi della critica a Cannes al quale seguì "Rosso sangue", "Gli amanti del Pont Neuf", fino ad arrivare a questo "Pola X". Il solo nome, che all'apparenza può sembrare quello di un porno, in realtà cela una serie di congetture finto intellettuali che definire pretenziose è poco. Pola è infatti l'acronimo della traduzione francese del titolo di una delle opere maggiori di Herman Melville, "Pierre ou les ambiguites" del 1852, drammatica storia di un personaggio definito dalla critica letteraria "L'Amleto americano" che il regista decide di trasportare nella Francia odierna, credendo di effettuare un'operazione sfrenatamente originale. L'X ce l' ha aggiunto lui per sottolineare di aver volutamente marcato gli aspetti più torbidi della relazione fra i due protagonisti sulla convinzione che un paio di scene spinte potessero sfidare la morale pubblica e bastare nella creazione di un buon film.
Guillame Depardieu è Pierre, uno scrittore ricchissimo di discendenza nobile che vive nel castello di famiglia insieme alla madre Marie, interpretata da Catherine Deneuve che è tanto onnipresente nel cinema francese quanto la Buy nel nostro. Fra i due c'è uno strano rapporto che spinge la madre ad assumere un atteggiamento iperprotettivo nei confronti del figlio (cosa già vista nel migliore "La pianista") al punto da scegliere per lui la data delle nozze con Lucie, la sua fidanzata. Lui salta in moto per andare a riferirle la notizia, ma lungo la strada intravede nei boschi una donna vestita di stracci che decide di seguire. Costei è Isabelle (Yecaterina Golubeva; "Twentynine Palms") che dice di essere la sua sorellastra cresciuta nei Balcani, come dimostra lo spassosissimo accento forzato dell'est della doppiatrice. Pierre si sente in dovere di aiutarla ma la sua scelta è ostacolata da tutti, madre compresa. Decide di recarsi a Parigi e vivere con la sorellastra in una situazione precaria. Fra i due nasce una relazione incestuosa che Carax si prende cura di palesare allo spettatore tramite una scena di sesso di una lunghezza inutile dove lei sfodera un paio di succulente (rifatte?) tettone e lui sventola una biblica baguette di circa 28 centimetri che avevo scambiato per un braccio (miopia? Ma diciamo anche orgoglio virile...). Nel frangente scattano le ricerche per ritrovare Pierre e durante il viaggio alla volta di Parigi, Marie muore in un incidente e l'unica a rintracciarlo è Lucie che decide di vivere con i due. La vicenda ha un triste epilogo: Pierre uccide un cugino che si era rifiutato di ospitarlo e finisce in galera mentre Isabelle si uccide gettandosi sotto una camionetta.
Le componenti del film impegnato ci sono tutte: l'amore di Lucie per Pierre che le permette di schierarsi dalla sua parte e vivere con la sua sorellastra-amante, il rapporto morboso fra madre e figlio, il tema del viaggio, dell'estraneo, del triangolo, dell'incesto, del sacrificio, la lotta al perbenismo il tutto condito da personaggi perennemente sofferenti, condannati dalla loro emotività. Ma allora cosa c'è che proprio non và in questo film? La mancanza di un significato di fondo che giustifichi gli elementi sopra elencati. Mentre nel romanzo di Melville l'unione fra Pierre e la sorellastra si identifica come l'allegoria della congiunzione incestuosa fra bene e male, il film di Carax si riduce ad una semplice storia d'amore (?) conclusasi in tragedia. Alcuni potrebbero obiettare sostenendo la tesi per cui il baratro verso il quale si dirige Pierre a causa della sorellastra sarebbe una metafora politica atta a rappresentare il mondo occidentale rovinato dalla compassione nei confronti dei cittadini di nazioni meno fortunate ma più che una tesi mi sembra un metodo per salvare in extremis una pellicola tutto sommato deludente se si considera che i personaggi del film che si opponevano alla scelta di vita del protagonista vengono completamente ignorati (il cugino addirittura fa una brutta fine, come già detto) dal protagonista stesso di cui si esalta la drammatica forza interiore.
Dal punto di vista tecnico la pellicola si perde in una serie di sequenze che tentano arrogantemente di assumere un certo valore artistico senza riuscirci come testimoniano i tre quarti d'ora passati a guardare la Deneuve in moto alla ricerca del figlio con i capelli al vento e il trucco sciolto dal pianto, immagine che suggerisce irreprensibile disperazione e volontà titanica ma è talmente calcata che a lungo andare risulta stancante ed eccessiva, un buon venti minuti spesi da Depardieu a rincorrere la Golubeva per i boschi alla fioca luce dei raggi lunari, barocchissima similitudine della loro estraneità che dopo poco non può non diventare noiosa.
Nient'altro da aggiungere d'avanti a questi 134 minuti buttati via. Vietato ai minori di 18 anni, se possa interessare a qualcuno....
Carico i commenti... con calma