Fermo a guardare le foglie morte. La vita come in sogno, una serie di movimenti senza significato. E questa voce.

Agito le braccina come leva persuasiva quando esprimo un concetto che sento mio. Ecco ora sto agitando le braccia emulando una hostess che indica le uscite di sicurezza.

Questo album è una di quelle vie di fuga segnate con un grande cartello al neon verde.

È legittimo innamorarsi di una vocina così sgraziata? Escono arcobaleni ogni volta che Sue Tompkins lancia un urlo. È lei la protagonista indiscussa dell’album, saltella e cavalca chitarre allo zucchero filato ed una sezione ritmica in fibrillazione atriale. Ripete le parole quasi a perderne il senso con risvolti (auto)ironici.

Riportano in testa i Van Pelt, i Blonde Redhead gioiosi, i Ponytail debitori nei confronti di questa band. Uno stile di canto simile non lascia molti riferimenti. Raffiche veloci di chitarra sembrano esplodere da un momento all’altro eppure restano zoppe. Mani adulte suonano la curiosità di un bambino, la voglia di sperimentare, tutto ancora acerbo per farsi corrompere. Gli scozzesi forse vorrebbero pungere ma ci regalano un disco dai contorni smussati, dove irruenza e riflessività vanno a braccetto.

Sue oggi è una visual artist e tiene mostre in giro per il mondo. Mi piace pensare che la sua arte conservi tutta la nevrotica positività dei suoi vocalizzi.

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