Questa storia comincia con l’avvento delle commedie americane sconce, attraverso le quali ragazzi della mia età o poco più piccoli approcciavano all'adolescenza con il fare di chi tra un orecchio e l’altro può sentire soffiare il vento: quella ventata di stupidità fine a sé stessa, boutade da zero comico assoluto, sesso mai così poco celato e pruriti che non ci vergognavamo più di nascondere. In questo contesto proliferava l'ultima formula del pop-punk propriamente detto.
Oggi il genere é mutato fino ad essere irriconoscibile, dopo essere rovinosamente collassato su sé stesso al giro di boa della prima decade dei duemila, così noi non-giovani ci troviamo a ripescare in qualche cassetto che avevamo accuratamente sigillato, senza però aver dimenticato dove avessimo nascosto la chiave. Hai visto mai che un giorno sarebbe servita.
E infatti eccoci quí, a tirarla fuori da un altro cassetto ancora, a sua volta pieno zeppo di chiavi, pronti a riportare alla luce quello che ieri appena trattavamo come non di troppo conto ma che, a veder bene, con gli anni ha acquisito importanza.
Perché? Perché oggi a quei lidi non si approda più per caso facendo zapping alla TV, l'onda va attesa e riconquistata e non è più sufficiente scrivere canzoni con la stessa strafottente ruffianeria dei bestsellers per risultare quantomeno presentabili.
Eccoli. Provvidenziali, plausibili. I Lillians.
Tre protagonisti di quella stagione che consegnò una scena frizzante e prolifica come quella romagnola, riunitisi sotto la stessa insegna da un'attitudine alla scrittura propria del pop, con strofe sorrette da sezioni ritmiche solide ed articolate, ritornelli ridondanti e tutto il resto. Certo, quí da ridere non c’è un cazzo, poiché Filippo Cinotti e soci vanno a toccare quelle corde che almeno allora se ne stavano sopite fino alla fine delle vacanze, tra un anno e l’altro di scuola, in attesa che il freddo tornasse a divorarci e con esso tutto ci si riversasse addosso come merda.
"I Wish I Lived This Life" è l'acquerello di un futuro neanche troppo distante, magari non luminoso ma comunque illuminato, nel quale non esiste il rimpianto di non aver vissuto anche e soprattutto questi giorni fatti d'odio e amore. La formula mutuata dai successi della golden-age del punk da classifica conferisce al disco atmosfere volutamente nostalgiche, mentre in primo piano scorrono le storie di tre musicisti alle prese con la quotidianità di chi è pericolosamente più vicino ai 40 anni che non ai 30.
Ecco cosa rende i Lillians credibili: la consapevolezza di sé, il dichiarato intento di usare uno strumento vecchio di vent'anni per raccontare sé stessi oggi.
Orientarsi fra gli intrecci vocali di "17", i minor-chords di "Another Lie", le voci stratificate di "22" restituisce l'immagine di un presente fotografato col fish-eye, nobilita suoni sepolti da tonnellate di titoli che lo scorrere del tempo ha mortificato.
Una meravigliosa opera prima.
Non è dato sapere se i Lillians, guardandosi indietro, si diranno dispiaciuti di non essersi goduti questa vita. Quello che rimane é una nuova pagina. La storia continua...
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